LEONARDO GIULIANO


Prende il nome dal paese caucasico teatro di una guerra sporca e dimenticata dai media (perfino dopo l’eccidio del teatro di Mosca) Cecenia. Il film, scritto da Aurelio Grimaldi, è diretto da Leonardo Giuliano, all’esordio nel lungometraggio, prodotto e distribuito dal Gruppo Pasquino, nuovo marchio di cui il regista è tra gli ideatori.
Cecenia racconta gli ultimi giorni di Antonio Russo, reporter di Radio Radicale, cronista di conflitti e attivista per i diritti umani, divenuto noto durante la guerra in Kosovo, quando fu l’unico giornalista occidentale rimasto a Pristina.
Il suo cadavere fu trovato il 16 ottobre 2000 in una strada vicina a Tbilisi, la capitale della Georgia da cui Russo entrava in Cecenia.
Tra i pochi a cercare di far luce in quell’impasto esplosivo di conflitti economici, etnici e ora anche religiosi, nell’ex Unione Sovietica, fu ucciso, sostengono familiari e colleghi radicali, perché indagava sull’uso di armi chimiche, forse gas nervini, da parte dell’esercito russo contro la popolazione cecena.
Nella pellicola, che Russo stesso ha contribuito a ideare, certo non immaginando di diventarne il protagonista, il reporter è interpretato da Gianmarco Tognazzi.
Girato tra Italia e Bulgaria (perché in Cecenia, sottolinea Giuliano, “non c’erano le minime condizioni di sicurezza per la troupe”), costato circa 1,5 milioni di euro, è ora in fase di montaggio.

Come ha conosciuto Antonio Russo?
Nel 1999 Antonio si presentò al cinema Pasquino per propormi di realizzare un documentario sulla Cecenia dove aveva passato 3 mesi accumulando alcune ore di impressionante materiale video. Mi convinse ma pensammo che per dare visibilità a quella guerra sommersa un film avesse un impatto più forte. Poco dopo Antonio andò a Palermo per conoscere Aurelio Grimaldi che stese una prima sceneggiatura dichiarata di interesse culturale nazionale dal ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Poi Russo tornò a Tbilisi.
Sì. Voleva proseguire le sue inchieste. Capì subito che la situazione era peggiorata e poteva degenerare. Era un personaggio scomodo, un reporter atipico, molto legato al territorio, e sebbene molti da qui, noi compresi, lo sollecitassero a tornare, rimandava sempre finché, il giorno prima della partenza, lo hanno intercettato e ucciso. Ci sono tre ipotesi plausibili sulla sua morte: ad ucciderlo potrebbero essere stati i ceceni o delinquenti comuni, ma sembra più logico che siano stati i servizi russi.

Il film sostiene questa tesi?
Non sposiamo nessuna tesi, ma ricostruiamo gli ultimi giorni di Antonio e il clima inquietante di Tbilisi. Il film è un ritratto e un ricordo del giornalista, un modo per trasmettere la forza delle sue scelte di vita e professionali.

Parliamo di Gianmarco Tognazzi: come ha affrontato il ruolo?
Ha espresso una fortissima passione per il personaggio: ha studiato e ascoltato tutte le registrazioni delle radiocronache di Antonio. Il risultato è un’interpretazione di grande pathos.

Mancano gli ultimi ciak, ma state già lavorando al montaggio…
Abbiamo una gran mole di materiale tra cui anche quello di Antonio. Aurelio e io vogliamo evitare lo stile televisivo e costruire invece un film fuori dalle strutture narrative tradizionali. Non sarà di certo un film commerciale: sarebbe imbarazzante per la memoria di Antonio.

autore
02 Dicembre 2002

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