Dietro a una grande donna, c’è un grande uomo, si potrebbe dire per un volta parafrasando il noto detto, per descrivere il rapporto tra Malala Yousafzai e suo padre Ziauddin (nella versione italiana gli dà la voce Filippo Timi). A lui, insegnante e preside di una scuola, uomo di larghe vedute e padre affettuoso, questa adolescente diventata simbolo del diritto all’istruzione negato a milioni di ragazze, deve il nome. Un nome legato a una storia leggendaria di coraggio femminile, quello di una giovane eroina, Malalai, che guidò gli afghani nel combattimento contro gli inglesi e morì in battaglia. Nel nome era contenuto un destino, eppure l’oggi diciottenne sopravvissuta a un attentato dei talebani e insignita nel 2014 del Premio Nobel per la Pace, dice sicura: “Mio padre mi ha chiamato Malalai, non mi ha fatto diventare Malalai. Ho scelto io questa vita”. Ma certo Ziauddin è costantemente accanto a lei e la sostiene nella sua impegnativa battaglia politica.
Arriva nelle sale il 5 novembre con 20th Century Fox (e presto andrà in onda in esclusiva su Sky National Geographic Channel) il documentario di Davis Guggenheim (Oscar per Una scomoda verità) ispirato al libro Io sono Malala (in Italia edito da Garzanti). Inizialmente si era pensato a un progetto di fiction, ma i produttori Walter Parkes e Laurie MacDonald si sono resi conto che Malala Yousafzai bucava da sola lo schermo. La più giovane Premio Nobel per la Pace della storia, ci viene mostrata nel corso di 18 mesi tra pubblico e privato. Nella sua casa in Inghilterra, dove vive insieme ai genitori e ai due fratelli, con cui spesso litiga, a scuola con le compagne e anche davanti al computer, mentre cerca le foto dei suoi divi preferiti, Brad Pitt e il tennista Federer. Vive nel Regno Unito, e non può tornare a casa per le minacce di morte, dopo l’attentato del 9 ottobre 2012 in cui ha rischiato di perdere la vita per un colpo di pistola alla testa sparato dai talebani mentre era sullo scuolabus insieme alle compagne. Aveva 15 anni, la sua colpa era di essersi espressa pubblicamente, in un blog della Bbc e in televisione, a favore del diritto allo studio. L’esplosione le ha lasciato danni permanenti alla parte sinistra del cranio: sordità e difficoltà di movimento dell’occhio e del volto. Ma con grande forza e con una determinazione quasi sovrumana, ha recuperato una vita normale, anzi eccezionale, che si divide tra i compiti scolastici e l’attivismo a livello internazionale. Nel film la vediamo durante le sue visite in Nigeria, dove si è spesa con il presidente per la liberazione delle ragazze rapite da Boko Haram, in Kenya, ad Abu Dhabi e in Giordania, ma anche durante gli incontri con Obama o in occasione di un trascinante discorso alle Nazioni Unite. Il film, non privo di retorica, è tuttavia un’importante testimonianza della difficoltà per le donne di accedere al basilare diritto all’istruzione, che in Pakistan è stato spazzato via dall’azione violenta degli estremisti islamici, ma è anche il ritratto a tutto tondo di una figura femminile davvero esemplare.
Guggenheim alterna alla parte di reportage giornalistico inserti di animazione che ricostruiscono le fasi della vita di Malala nella natìa regione dello Swat, una valle nel Nord del Pakistan. Ma sono soprattutto le parole della ragazza, più che le immagini, a colpire: “Io ho il diritto di cantare, ho il diritto di andare al mercato, il diritto di parlare. Avrò la mia istruzione, che sia a casa, a scuola, o da qualche parte. Non mi fermeranno”, ha dichiarato Malala, dando voce agli oltre 60 milioni di fanciulle agazze in età scolare nel mondo che non possono frequentare la scuola, in circa 70 paesi del mondo sono minacciate con la violenza solo perché aspirano a istruirsi. I talebani, in particolare, non ammettono alcuna forma di educazione per le donne, se non quella religiosa. “Un bambino, un insegnante, un libro e una penna, possono cambiare il mondo”, ha detto Malala davanti all’assemblea dell’Onu.
Il film è stato presentato oggi alla Camera dei Deputati alla presenza della presidente Laura Boldrini e la proiezione è stata preceduta da un video-messaggio di ringraziamento della ragazza che in una recente intervista a Sky Tg24 ha detto, a proposito dei migranti: “Chi lascia paesi come la Siria e l’Irak lo fa a causa di problemi seri, del terrorismo, di tutte le altre difficoltà. Ha bisogno di pace, di un posto dove vivere liberamente. Penso che dovremmo aprire le nostre porte e chi scappa dovrebbe trovare accoglienza”.
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