CANNES – Hanno portato la loro graffiante follia cinematografica a Rotterdam, a Berlino, al Sundance e a San Sebastian. Ora la coppia francese della risata satirica sull’orlo del nonsense composta da Benoît Delépine e Gustave Kervern è approdata al Certain Regard con il suo quinto film: Le Grand Soir. E sulla Croisette hanno portato subito una ventata di pazzia, proprio mentre il vento spazzava via le nuvole dal cielo di Cannes. Nel presentarli alla Sala Debussy il direttore Frémaux ha raccontato divertito del loro “devastante” photocall, “in cui hanno scassato tutto”. Poi i due registi, con la coppia di attori protagonisti Albert Dumontel e Benoît Poelvoorde, hanno completato l’opera facendo applaudire entusiasti e ridere fino alle lacrime gli spettatori.
Nel loro cinema profondamente politico “dissimulato” da una confezione che rasenta la comicità demenziale, gli eroi sono dei campioni di stupidità e incapacità di vivere. Uno è Not (Poelvoorde), “l’ultimo punk accompagnato da un cane rimasto in Europa”, che vive di espedienti in mezzo alla strada e ogni tanto va a trovare i genitori, titolari del ristorante “La Pataterie” in una di quelle stranianti zone commerciali francesi fuori città. L’altro è il fratello Jean-Pierre (Dumontel), apparentemente più inquadrato, che lavora come impiegato in un mobilificio in cui vende materassi. Finché non viene drasticamente licenziato “perché è indietro con i risultati”. Ed è proprio l’improvvisa disoccupazione a scatenare la progressiva trasformazione del fratello serio in un altro punkettone pronto a una rivoluzione “alternativa” contro il sistema.
Nel panorama desolante di centri commerciali come cattedrali consumistiche nel deserto urbano, questi due folli disadattati sembrano novelli Don Chisciotte nella società devastata dalla recessione. Tra gli omaggi ai numi tutelari – Chabrol, Pialat e molti altri – e le esilaranti apparizioni degli attori feticcio Gérard Depardieu, Bouli Lanners e Yolande Moreau – Delépine e Kervern compiono un divertentissimo viaggio tra le trappole moderne (e nella realtà drammaticissime) della disoccupazione galoppante, tanto che Jean-Pierre, al culmine della sua (anomala) disperazione, cerca di darsi fuoco tra gli scaffali di un centro commerciale. Di nuovo, quindi, il tema del lavoro e dell’identità, già esplorato con il macellaio in pensione di Mammuth e con l’operaia licenziata e vendicativa di Louise-Michel. E di nuovo le follie di personaggi molto umani e molto stupidi. Da non perdere i camei di Bouli Lanners, impiegato della security che intrattiene un lungo dialogo, composto di sole tre parole, con il padre dei due fratelli, e Gérard Depardieu che legge il futuro nei fondi del sakè. Not e Jean-Pierre finiranno per cercare la solidarietà dei “consumatori sfruttati”, ma si ritroveranno soli soletti a urlare “non siamo morti” rubando lettere dalle insegne dei centri commerciali e disponendole sulla collina, neanche fossero a Hollywood.
Al termine della proiezione, poi, registi e protagonisti hanno messo in piedi uno show trascinando il pubblico in una lunghissima standing ovation, salendo sulle poltrone, togliendosi le magliette e cercando il recordo di durata di applausi da una platea divertitissima.
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