“L’abbiamo scelta proprio per la sua capacità di infondere vitalità ad una pellicola difficile”. Francesco Paolo Montini, produttore della Movie Factory, spiega perché ha affidato la regia di Giorni all’esordiente Laura Muscardin: “Laura ha uno straordinario talento come regista di commedie”. Perfetta dunque per affrontare una sceneggiatura, scritta da Monica Rametta e David Osorio e vincitrice del Premio Solinas 1997, cupa e drammatica.
Racconta di Claudio (Thomas Trabacchi), dirigente di banca sieropositivo. Un uomo equilibrato, la cui vita fin troppo regolare è sconvolta dall’irrompere della passione che ha il volto dolce del giovane Andrea (Riccardo Salerno).
Una sfida non da poco per la regista 35enne che si è fatta le ossa al fianco di Pappi Corsicato, Marco Risi e Florestano Vancini. In dieci anni di attività ha girato 4 cortometraggi e 5 documentari tra cui Variazioni su Casanova scritto con l’ex “Gruppo 63″ Nanni Balestrini. Giorni, costato 1 miliardo e 800 milioni, è autodistribuito ed esce oggi nella sala romana Lucky Blu.
Che cosa ti ha spinto raccontare la storia d’amore tra due uomini?
Gli sceneggiatori e il produttore cercavano una regista donna. All’inizio, quando mi hanno proposto la regia di Giorni ero incerta poi ho deciso di accettare la sfida. La sceneggiatura è stata riscritta e piano piano è diventata anche mia. Per il cinema italiano le relazioni omosessuali sono un tema difficile. I gay sono sempre ritratti in modo tragico o comico. Sullo schermo diventano spesso delle macchiette o comunque si sottolinea sempre una supposta “anormalità”. Lo stesso vale per i sieropositivi. Ho cercato di non cadere nella trappola degli stereotipi e raccontare l’impatto della passione su una persona che affronta quotidianamente l’idea della morte.
Come ti sei preparata?
Ho girato parecchio negli ospedali, parlato con i medici e con persone sieropositive. Scegliere i protagonisti non è stato facile. Abbiamo fatto ben 290 provini filmati. Molti attori erano imbarazzati a recitare scene di sesso tra due uomini. Prima di girare abbiamo fatto circa 10 giorni di training fisico con gli interpreti, un intenso lavoro sul corpo per cambiare il loro modo di muoversi.
Nel film si nota una cura particolare nell’uso delle luci e dei colori…
Mi ha molto colpita un testo di Derek Jarman sui colori nel cinema. Lui associava il blu alla malattia. Per questo è il colore prevalente nella casa e degli abiti di Claudio, il protagonista sieropositivo. Si muove in ambienti come l’ospedale e la palestra caratterizzati da luci bluastre. Andrea, il suo giovane amante che rappresenta il romanticismo e il sentimento è legato a toni più caldi così come Laura, sorella di Claudio, una donna che riesce ad abbandonarsi alle passioni.
Quest’anno su 37 opere prime ci sono 7 film girati da donne. Come valuti questo dato?
Mi sorprende. Quando ho cominciato a lavorare come assistente alla regia ero una delle poche sui set ad avere quel ruolo. Le professioni riservate alle donne erano la sarta, la costumista, la segretaria di edizione. Il resto era appannaggio maschile. Nell’arco di dieci anni la situazione è un po’ cambiata. Ma tuttora è difficile per le donne diventare registe. Quelle ci provano fanno i conti con un problema comune a tutte le lavoratrici: conciliare i tempi di vita e i tempi di lavoro.
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