Continua a dividere i suoi impegni tra l’Italia e la Francia dove è tornata ultimamente a recitare con regolare continuità (Un po’ per gioco e un po’ per desiderio di Danièle Thompson, Cuori di Alan Resnais, Molière di Laurent Tirard) e dove nei prossimi mesi sarà occupata sia per un film che girerà insieme a Gérard Depardieu, sia nelle inedite vesti di regista. In Italia, invece, l’attrice toscana prosegue nella stesura di una nuova sceneggiatura e aspetta con fiducia l’uscita prevista a metà novembre de Il nascondiglio, un nuovo thriller di Pupi Avati ambientato nella provincia americana di cui è stata la protagonista recitando insieme a Burt Young, Treat Williams, Rita Tushingam e Yvonne Sciò.
Che ruolo ha nel nuovo film di Avati?
La storia è ambientata ai nostri giorni a Davenport, nello Jowa (una terra che Pupi e suo fratello Antonio conoscono bene avendovi ambientato Bix e diverse altre produzioni). Io sono un’italiana che dopo aver trascorso 15 anni in una casa di cura per malattie mentali in seguito a una dramma familiare che le ha sconvolto la vita si mette alla ricerca dell’ambiente ideale per avviare un ristorante.
Come si sviluppa il racconto?
La protagonista viene colpita da un edificio dal fascino inquietante e investe energie e professionalità nella nuova attività che le permetterà di allontanare i dolorosissimi incubi che l’hanno accompagnata nella lunga malattia, ma il progetto si rivelerà un’illusione perché in quella casa inizierà ad ascoltare strani rumori e a rivivere gli stessi incubi che ne avevano minato il passato: precipiterà così di nuovo in una vicenda che solo apparentemente non la riguarderà ma che diventerà per lei ugualmente terribile. La storia è piena di mistero, rientra nel filone “gotico” di Avati – che aveva dato vita in passato a opere come La casa dalla finestre che ridono o Zeder – e mi era sembrata subito molto interessante e insolita la descrizione della cittadina americana con le villette a schiera, il giardino sulla strada e il barbecue nel retro dove, un po’ come in Blue Velvet di Lynch, tutto sembra perfetto salvo poi scoprire che dietro certi dettagli insignificanti si nasconde qualcosa di molto inquietante.
Che cosa accadrà invece nel film che girerà a fine anno con Depardieu?
Si chiamerà Le Grand Festival e sarà una coproduzione tra la Francia e vari paesi europei, una favola amara e ironica ambientata durante la seconda guerra mondiale il cui protagonista è un personaggio straripante che si ostina a voler organizzare un festival in una città abitata quasi interamente da ebrei, con la guerra e i nazisti alle porte. Sarà una commedia su uno sfondo tragico, alla maniera di film come Train de vie o Essere o non essere di Mel Brooks.
Che cosa può anticipare invece del film che segnerà il suo passaggio alla regia?
La scrittura è sempre stata una mia passione e nel caso di questa commedia intitolata Ciliegine la mia intenzione era solo quella di sceneggiarla, fino a quando un giorno i produttori non mi hanno chiesto di occuparmi direttamente della regia… La storia è ambientata a Parigi con un cast francese e io ne sarò protagonista nel ruolo di una donna terrorizzata dai rapporti sentimentali, seguendo le indicazioni del copione scritto con Daniele Costantini, il padre di mia figlia Eugenia, che ha 25 anni ed è diventata ultimamente anche lei attrice. Daniele si è rivelato un partner di scrittura ideale al punto che nei mesi scorsi ho scritto insieme a lui un’altra sceneggiatura per un’ulteriore commedia, Falsa pista, che ora è in attesa di sviluppi. Devo dire che misurarmi con la commedia mi gratifica sempre e comunque: Mario Monicelli – con cui ho recitato ne Il fu Mattia Pascal e in teatro ne “Le relazioni pericolose” – una volta disse di me: “C’è sempre una sfumatura comica nel suo drammatico” e per me è stato davvero molto bello sentirlo perché far ridere le persone è una delle cose che mi da maggiori soddisfazioni.
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