Si intitola Assolo ma ha un coro di attori non da poco attorno alla voce solista il nuovo film da regista di Laura Morante, il suo secondo dopo l’apprezzato Ciliegine. Di nuovo una donna al centro di una narrazione autoironica che tocca in chiave leggera temi dell’identità femminile spesso tabù, come l’autoerotismo o la perdita di attrattiva per il mondo maschile dopo una certa età. Flavia, ultracinquantenne che non ha mai saputo fare a meno degli uomini, si ritrova per la prima volta da sola. Insicura a livelli patologici – non riesce neanche a prendere la patente – e sempre pronta a compiacere gli altri anche quando la trattano male, ha due ex mariti riaccasati, due figli ormai grandi, un amante sposato, varie amiche e soprattutto una strana psicoanalista (Piera Degli Esposti) che cerca di tirarle fuori autostima e autonomia. Con echi di Nanni Moretti – ma anche, come scopriremo uno sguardo a Bunuel – il film, in sala dal 5 gennaio con Warner Bros, è prodotto Luigi e Olivia Musini (CinemaUndici) e da ElaFilm, e interpretato, oltre che dalla stessa Morante da Francesco Pannofino, Lambert Wilson, Gigio Alberti, Marco Giallini, Donatella Finocchiaro, Antonello Fassari, Emanuela Grimalda, Carolina Crescentini, Eugenia Costantini (la figlia di Laura e dello sceneggiatore Daniele Costantini), Giovanni Anzaldo e anche una splendida cagnetta, Mia, che acquista un’importanza speciale nella liberazione di Flavia. Morante regista sceglie una cifra vagamente surreale, che alterna alla narrazione classica anche momenti onirici e un racconto in prima persona come filo conduttore.
Come avete sviluppato la cifra inconsueta del film?
Insieme allo sceneggiatore Daniele Costantini (suo ex marito e autore anche di Ciliegine, ndr) abbiamo fatto un lavoro molto lungo e anche difficile. Siamo partiti bene, abbiamo cominciato a scrivere le scene che venivano fuori spontaneamente, ad esempio il sogno che apre il film, con la veglia funebre di Flavia a cui partecipano tutti gli uomini della sua vita parlando male di lei. Poi ci siamo bloccati per mesi. Ero pronta a lasciar perdere ma Daniele mi ha sbloccato dicendo: diamoci ancora una settimana. Questo atto di fiducia, mi ha permesso di andare avanti, perché anche io sono un po’ come Flavia.
Come ha calibrato il lato autobiografico e quello di pura invenzione?
E’ un gioco a rimpiattino: ci sono episodi che sembrano inventati e invece sono reali, poi ci sono cose che sembrano vere e non lo sono. Io mi sento in disaccordo con la mia epoca. I critici sono dalla parte della narrazione naturalistica, mentre io non l’ho mai amata, ho sempre preferito forme espressive che ricompongono la realtà. Così nel film c’è molta visionarietà, ci sono ricostruzioni arbitrarie del passato di Flavia raccontate attraverso il filtro della sua insicurezza.
Flavia è molto diversa dal personaggio di Ciliegine, Amanda, che soffriva di una forma di misandria. Ci sono anche elementi in comune tra le due?
I due personaggi sono molto diversi, ma credo che in me, anzi in molte di noi, ci sia un po’ di Amanda e un po’ di Flavia. Entrambe hanno una incoercibile attrazione romantica. Flavia è più sognatrice, confonde sogno e realtà, ha un’autostima molto bassa, non ha mai vissuto da sola, ha sempre avuto bisogno di un uomo, mentre Amanda almeno a parole dice di voler vivere senza uomini e di detestarli. Apparentemente sono agli antipodi ma è come se fossero le due facce della stessa medaglia.
Il film si chiude con un finale aperto e ironico: meglio stare da sole o in coppia? Lei sembra non voler dare una risposta al dilemma di Flavia e di molte donne.
Non vuol essere una risposta ma un’esortazione. Flavia è insicura da sempre e per giunta sta vivendo un momento difficile per ogni donna, il passaggio dall’età in cui si è oggetto di ammirazione all’età in cui piano piano viene a mancare l’interesse maschile. E’ il momento di recuperare il proprio essere soggetti invece di continuare a considerarsi degli oggetti. Persino una grande scrittrice come Karen Blixen a un giornalista che le chiedeva perché avesse usato uno pseudonimo maschile in una parte della sua carriera, quello di Isak Dinesen, rispose così: “Se fossi stato un uomo non avrei mai potuto innamorarmi di una donna scrittrice”. Questa questione, che ci concerne tutte, è centrale e andava svelata. Recuperiamo la nostra capacità di essere soggetti, non cerchiamo di renderci ancora desiderabili. Proviamo a fare questo assolo, a cantare da sole. Questa è la vera fonte di felicità.
E’ coraggioso parlare di questi temi, che sono spesso taciuti dalle stesse donne. Dell’invecchiare non si parla, si preferisce far finta di niente.
Volevo svelare che esiste questo problema, anche se non credo che sia un film temerario. Però è vero che abbiamo paura di invecchiare, di non piacere più, di affrontare il sesso da sole e che non lo diciamo. Ho lavato i panni sporchi in pubblico.
Lei come attrice ha spesso recitato in ruoli drammatici, ma come regista preferisce decisamente la commedia.
La commedia mi interessa molto perché contiene una dialettica e mi interessa ancora di più se affronta temi gravi. Ridere di qualcosa di doloroso mi è sempre sembrato più utile. E per ridere bisogna creare un contrasto. Flavia è un caso estremo, ma le accadono cose che sono accadute anche a me. Una volta mio marito è riuscito a farmi credere che non ero a Piazza Venezia anche se vedevo davanti ai miei occhi l’Altare della Patria, lui al telefono mi diceva di no e io stavo per mettere in dubbio la mia percezione. Sarò un caso limite… Ma un carattere così è perfetto per la commedia.
Preferisce scrivere insieme al suo ex marito.
A me piace avere un interlocutore del quale mi fido nella scrittura – e di Daniele mi fido moltissimo – vedere come reagisce, se ride per un dialogo. Per la commedia è importante essere più d’uno. Non so se scriverò mai un film drammatico, forse in quel caso potrei lavorare da sola, ma non ci penso in anticipo, io amo le cose che vengono da sole. Persino Napoleone scrisse nel suo diario: “Non arriverà mai molto lontano chi sa dove vuole arrivare”.
Nel film ci sono spunti che vengono dai registi con cui ha lavorato, in particolare Nanni Moretti.
Ci saranno tante cose che vengono inconsciamente dai personaggi che ho interpretato, dai film che ho visto. Saranno gli altri a divertirsi a dire: questo viene da Moretti, questo da Monicelli, ma farlo intenzionalmente mi avrebbe paralizzato. In particolare però ho pensato a Bunuel che mi piace moltissimo. Nei suoi film c’è un decalage minimo rispetto alla realtà eppure tutto appare surreale.
Condivide la battaglia per la parità dei compensi e delle condizioni di lavoro che le attrici stanno conducendo negli Stati Uniti? Pensa che dovremmo fare la stessa cosa in Italia?
Non saprei come condurla in Italia. L’importante è che le donne scrivano storie e che i produttori le producano. Sento il bisogno di vedere rappresentata la realtà dal punto di vista femminile. Moltiplicare i punti di vista è sempre positivo, come insegna Rashomon o Pirandello. Più punti di vista ci sono e meglio è. Mi interessa il punto di vista femminile sul mondo anche se non considero le donne tutte uguali. Però un maschio affetto da nevrosi l’abbiamo visto in tutte le salse, mentre la nevrosi femminile è guardata con fastidio, come qualcosa che urta i nervi. E’ ora di fare pace con la nostra nevrosi.
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