CANNES – Hugo c’è: nel titolo, nel quartiere d’ambientazione, nell’omaggio letterario finale, nonché nel messaggio del film stesso.
Les Misérables, primo film francese in Concorso, diretto dal “banlieusard” Ladj Ly, che ambienta la sua storia, titolata esattamente come il capolavoro di Victor Hugo, nel quartiere di Montfermeil, lo stesso di gran parte del romanzo ottocentesco.
I miserabili di Ladj Ly sono “un allarme, perché dopo ormai 20 anni dai fatti nulla è davvero cambiato, la violenza esercitata dalla polizia non è cosa che si scopre adesso, il tema s’è attualizzato alla luce dei gilet gialli”, ha dichiarato il regista presentando il film alla stampa. “Il progetto nasceva una decina d’anni fa, poi s’è sviluppato negli ultimi cinque: la complessità è stata anche per il budget ridotto, ma il successo è essere qui selezionato. La complessità reale, però, è la tragedia dei bambini, che crescono dentro una tragedia, anche se io con il film volevo rappresentare tutti gli abitanti delle banlieue”, le periferie che Ly perfettamente conosce, infatti ha continuato raccontando come sia “stato difficile denunciare, perché sono cresciuto lì e non era semplice, ma nessuno ci ha mai davvero ascoltato, e avevo bisogno che venissimo ascoltati, per cercare una soluzione. Hugo era imprescindibile da questa situazione, anche due secoli dopo: il film è una storia universale, è una situazione che esiste ovunque nel mondo”.
Il film non ha una trama che può imprimersi per originalità narrativa o per capacità di stupire e sorprendere, perché, purtroppo, è cronaca sdoganata da tempo, ma “disturba” e fa riflettere sull’effettiva distorsione di una parte della società: il violento malessere delle banlieue francesi fa eco infatti da quando il regista, classe 1980, era bambino in quella stessa periferia che usa nel film, Les Bosquets di Montfermeil, in lotta interna con se stessa e con le forze di polizia.
Queste ultime sono protagoniste con tre “moschettieri” dai discutili metodi – come intuibile e come cronaca reale racconta, tre uomini della sezione anticrimine: uno di colore, un nervoso capo squadra, Chris (Alexis Manenti), picchiatore repressivo, “una persona complessa sin dalla scrittura, su cui ho lavorato scolpendo aspetti caricaturali e costruendo così l’architettura del suo profilo”, questo il punto di vista di Manenti sul suo ruolo; e Stephane Ruiz, appena arrivato nel gruppo e subito individuabile come “la mosca bianca” del trio della Legge: è Damien Bonnard a dare corpo e sguardo a quest’ultimo personaggio carico di umanità, una voce fuori dal coro, che usa lunghi silenzi, sguardi umidi, poche e cortesi parole, come “metodo” di approccio a questa terra che brucia di fuochi molteplici. “Ho provato a riflettere sull’idea di quale fosse il modo migliore di lavorare eticamente per un uomo di polizia”, ha dichiarato l’attore, protagonista intenso di uno scontro molteplice e plurale, che colpisce soprattutto quando il film mostra come chi imbraccia le armi e innesca le bombe siano piccoli uomini poco più che bambini, già incattiviti dalla vita, e così mossi da una ferocia che l’innocenza dell’età non dovrebbe conoscere. E che in fase di scrittura, insieme al co-sceneggiatore Giordano Gerlini, bene è stata concertata cercando anche “di creare qualche contrasto di tono più umoristico, grazie alla vis dei nostri attori”, ha puntualizzato l’autore.
È un drone usato con la leggerezza del gioco da uno di loro, Buzz, che nel tempo libero e annoiato viene fatto volare per sbirciare le coetanee nelle loro camerette – ma pur sempre sopra le teste degli emarginanti “alveari” abitativi edificati nella banlieue – a posare il proprio “occhio meccanico” su tutt’altro che una ragazzina in fiore; succede per caso questo, ma un caso drammatico e infuocante. Issa, un adolescente del quartiere che s’è prestato a nascondere un cucciolo di leone di un circo appartenente ad una frangia opposta alla sua d’origine, nel tentativo di risolvere questa questione, viene ferito “per errore”, per un intervento poco lucido e molto istintivo da parte del poliziotto di colore: sfregiato nel volto e ridotto quasi in agonia, Issa però “risorge”, si arma, infuoca, brucia, distrugge; organizza una marcia violenta con i suoi coetanei, dando vita ad una delle sequenze più drammatiche de Les Misérables di Ladj Ly, che chiude il film con una frase estratta dal caposaldo di Hugo, nonché messaggio del film stesso: “Amici miei, tenete a mente questo: non ci sono né cattive erbe, né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”, è per questo che, purtroppo, “l’erba”-Issa cresce così… amara e avvelenata, per cui, “penso abbiamo una responsabilità verso di loro, dobbiamo supportarli, hanno anzitutto bisogno di poter andare a scuola”, ha tenuto a precisare Gerlini in conclusione.
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