VENEZIA – Franco Zeffirelli, Conformista Ribelle di Anselma Dell’Olio, nella sezione Venezia Classici, è la prima opera cinematografica che indaghi su un profilo artistico dalle sfaccettature “varigate e opposte”, così come erano quelle culturali e caratteriali. “Mi interessavano le differenze poco note tra il vasto, singolare incanto che suscitava il suo nome nelle grandi capitali culturali mondiali e il baffo moscio con il quale era trattato in Italia. Con la sola eccezione delle sue opere liriche, per le quali nel suo Paese ha avuto una minima parte degli onori, del rispetto, della gloria e della venerazione che lo circondavano all’estero. Ma ancor di più mi interessava la vita interiore di un omosessuale cattolico convinto, discreto ma senza mai nascondersi, in un’epoca assai meno liberale di quella presente”, dichiara l’autrice.
Giunge prima la musica – note classiche e trionfali -, e poi la visione di Firenze, della cupola della cattedrale di Santa Maria dal Fiore, guardata dall’alto e con l’inquadratura in movimento “incorniciata” dalle fronde degli alberi, subito a restituire l’essenza di Zeffirelli, il suo amore viscerale per l’Opera e quello per la città che l’ha visto nascere, che sempre ha portato come orgoglio puntato “all’occhiello” e in cui, adesso, riposa in eterno.
L’intro del film è un’immersione tra gli spiragli e gli squarci di bellezza fiorentini, la macchina da presa accarezza la scultura michelangiolesca e i riflessi dorati dell’Arno, danzando sempre sulle note musicali, che progrediscono in crescendo. Poi passa al bianco e nero d’archivio – tra cui, anche sequenze di quello Luce, in particolare dalla prima romana de La Lupa (1965) con Anna Magnani -, ma dapprima mostrando la storica e drammatica alluvione del ’66, un novembre in cui “Franco stava in piena edizione di Bisbetica Domata (film con Elisabeth Taylor e Richard Burton)”, dicono prima la parole, e poi il volto, di Caterina D’Amico, autrice e amica personale di Zeffirelli.
“Mi sembrava un’ingiustizia che la città più gloriosa, più fantastica, più fantasmagorica dell’universo intero fosse trattata così: è stata allagata, è piena di fango, arrangiatevi”, sono le parole vive dello stesso Franco Zeffirelli, anche lui prima in sola voce e poi seduto alla sua scrivania. “Firenze è il bene e il male, la mamma e un’assassina … la puttana, la moglie fedele … e soprattutto una grande maestra”; che al presente, tra le mura di un gioiello del Barocco, Palazzo San Firenze nel cuore del Rinascimento della città, ospita – come da sue volontà – la sua collezione.
Sin dalla prima testimonianza si dichiara anche il linguaggio del film di Dell’Olio, un documentario dall’architettura classica: riprese contemporanee a colori, immagini archivistiche, cui s’alternano stralci di interviste posate e dedicate, realizzate ad hoc. Con D’Amico non pochi sono i nomi che parlano di Franco Zeffirelli, tra questi, solo per restituirne qualcuno: Adriana Asti, Roberto Bolle, Marina Cicogna, Plácido Domingo, Jeremy Irons, Maurizio Millenotti.
Il documentario racconta le ascese e le discese della sua eccezionale esistenza, costellata sì d’arte, anzitutto, ma anche dalla passione calcistica, e dalla sua personale storia di “figlio di N.N”.
“Zeffirelli non va avvicinato come un autore, va avvicinato come un uomo del Rinascimento, nato per sbaglio o per caso nel Ventesimo secolo … cercando sempre un’idea di bellezza che era sempre, allo stesso tempo, tradizionale ed estremamente innovativa”, spiega il docente e critico cinematografico Andrea Minuz.
Franco Zeffirelli è stato davvero un artista versatile, non “solo” un regista, e il senso della bellezza ha sempre ispirato e condotto le sue creazioni: la pittura, la scenografia, oltre la regia, sono state espressioni altissime del suo talento, manifestazione di un animo creativo e creatore, non solo perché talentuoso nelle forme dell’arte ma anche perché pervaso da una profonda spiritualità e curiosità verso il mistero. È stato un uomo deciso, che ha fatto scelte politiche e non s’è tirato indietro dal dibattito artistico o sociale.
In lui, in ogni circostanza: “C’è quel modo di guardare alla realtà sempre nella prospettiva dei pittori alla Beato Angelico, alla Domenico Ghirlandaio, con le linee purissime di Filippo Brunelleschi, alle quali lui si è sempre ispirato”, dice Luca Verdone.
“…ma la cultura fiorentina è superiore a qualunque immaginazione e a qualunque progetto umano … Lì sulle rive di quel fiumicello, l’Arno, è fiorita una selva di gioiosissime invenzioni dello spirito … e quando sei bambino le senti queste straordinarie situazioni che ti circondano”, aggiunge ancora Zeffirelli, in fondo “salvato dall’arte”, come testimonia Riccardo Tozzi, mentre scorrono le sequenze di Un tè con Mussolini (1999), film sull’autobiografia della propria infanzia, “benedetta” anche dalla figura paternale di Giorgio La Pira, storico sindaco di Firenze, che Zeffirelli ricorda anche come colui che gli mostrò per la prima volta L’annunciazione di Beato Angelico.
E, come appunto ricorrente nella sua vita, tra le sequenze di Franco Zeffirelli, Conformista Ribelle, si passa dalla pittura a Shakespeare, al Romeo e Giulietta (1968), interpretato da Giorgio Albertazzi e da Giancarlo Giannini: “non ero previsto io per fare Romeo … ma mi chiamò proprio Franco …” che gli propose di fare Benvoglio, cosa a cui l’attore, racconta, rispose: “No, io faccio o Romeo o Mercuzio … due giorni dopo mi richiamò e disse: ‘sono costretto a prenderti, perché il mio attore è partito, in America … e cominciamo le prove a tavolino … e il primo giorno non mi dice niente, il secondo niente, il terzo non mi dice niente … cazzo, faccio Romeo: mi doveva dir qualcosa!? Allora lo fermai e dissi: ‘o vado bene o no, se no me ne vado’, e lui mi disse: ‘…ti dico solo una cosa: vai benissimo così, però per Romeo mi devi fare un gatto innamorato’… e lì cominciò questa relazione meravigliosa, perché era anche una relazione di vita, con Franco, perché io ho imparato moltissimo da lui, ho imparato moltissimo il gioco di questo mestiere”.
Franco Zeffirelli è stato un Maestro nel senso più nobile della parola, di certo una di quelle figure che – rare nella Storia – sono state ambasciatrici della cultura italiana nel mondo, in cui – ancora oggi – il suo nome, specchio di tutta la sua arte, è ancora un’eco nobile e magnificato.
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