VENEZIA – E’ uno dei film che hanno scioccato la Mostra quest’anno, ed è coreano, come il Leone d’Oro Pietà di Kim Ki-duk. Questo però si intitola The Weight, è firmato da Jeon Kyu-hwan ed è stato presentato alle Giornate degli Autori, portandosi a casa il Queer Lion, cioè il riconoscimento al miglior film a tematica omosessuale.
Ma The Weight è un’opera che trascende – e di molto – il discorso sull’identità di genere, rovesciando sullo spettatore un “catalogo” di disturbanti devianze dell’umanità all’interno di un quadro estetico magistralmente definito. Il luogo dell’azione è un obitorio, dove vive e lavora Jung: un uomo gobbo, solitario e deforme capace di relazionarsi solo con i cadaveri, o con i reietti come lui. E’ orfano, è malato di artrite e tubercolosi, è circondato da mostruosità, il fratello ha in realtà un animo femminile ed è incastrato nel corpo di un uomo. Sangue, necrofilia morbosa ma non gratuita, deformità esibite e disperazione concretizzata nei corpi: The Weight mette a dura prova la resistenza dello spettatore con quella che il regista definisce “una favola per adulti che riflette sulla realtà. Questo per me era il modo migliore per raccontare le difficoltà dei tempi in cui viviamo”.
L’ambientazione – claustrofobica e “cadaverica” – richiama delle assonanze con Post Mortem di Pablo Larrain, ma Jeon Kyu-hwan non lo ha nemmeno visto, mentre si dice lusingato del paragone che molti hanno fatto con Il gobbo di Notre Dame di Victor Hugo, pensando naturalmente al protagonista deforme. Formalmente, invece, il cineasta – già autore di una “trilogia della città” – dichiara un debito nei confronti di Wong Kar Wai.
“Attraverso una galleria di personaggi con varie difficoltà fisiche ed esistenziali che si incrociano nell’obitorio – dice il regista – ho voluto mostrare il fardello della vita che gli uomini sono costretti a sobbarcarsi in forma di ‘fantasia grottesca’. Mostrando esseri umani colmi di desideri repressi e traumi attraverso la triste, ma bella storia del gobbo – continua – volevo che il film fosse sostenuto da un’energia cinematografica nuova, mai vista prima”. E in effetti in The Weight con una forma accuratissima – nella regia, nella fotografia, nel montaggio – incornicia la vicenda apparentemente nichilista di un mondo di freaks, di ultimi: “Alla fine, però – precisa l’autore – gli uomini possono trasformarsi in farfalle. Un’immagine di speranza dopo le storie nere di tanti esseri umani, che hanno la possibilià di rivivere con un karma più leggero”.
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