CANNES – In una città della Russia post-sovietica, Petrov e la sua famiglia devono affrontare una giornata decisamente fuori dagli schemi, durante una epidemia di influenza. Ispirato al romanzo La febbre dei Petrov e altri accidenti (2016) di Aleksej Sal’nikov, Petrov’s Flu è il nuovo film del visionario regista Kirill Serebrennikov, in competizione al 74esimo Festival di Cannes e distribuito da I Wonder Pictures.
“L’aspetto metaforico che ci fa pensare alla pandemia che stiamo vivendo – dichiara il regista Kirill Serebrennikov, alla sua seconda partecipazione al Festival dopo Leto nel 2018 – in verità arriva da più lontano: è tipica della letteratura russa così come del romanzo di Sal’nikov da cui ci siamo ispirati. Un mix di surrealismo e dadaismo che si fonde alle nostre vite.”
L’universo narrativo di Petrov’s Flu è totalmente privo di punti di riferimento. Il protagonista interpretato da Semën Serzin si muove senza direzioni precise, ritrovandosi improvvisamente in situazioni assurde e sconclusionate; con lui tutti i personaggi barcollano e sudano, in preda alla febbre o, più probabilmente, storditi dai fumi dell’alcol, generando una sensazione allucinatoria in cui tutto è possibile: in un club di poesia scoppia una rissa da bar, i passanti vengono fucilati in mezzo alla strada, i morti escono dalle bare per andare a prendere l’autobus e le bibliotecarie hanno l’hobby dell’omicidio.
La prima impressione è quella di trovarsi di fronte a una ucronia o distopia in cui le regole comuni sono state sovvertite, in cui esistono gli alieni e i super poteri. Solo dopo un po’ ci si accorge di essere finiti semplicemente in una versione sotto LSD della Russia degli anni ‘80 e ‘90. “È molto difficile dare un’interpretazione univoca al film, ci sono diversi piani narrativi, quelli del sogno, del passato e del futuro, ma tutto quello che vediamo esiste da qualche parte” rivela il regista.
La regia di Serebrennikov è caratterizzata da continui virtuosismi, su tutti l’uso del piano sequenza che getta lo spettatore nell’azione con quel giusto tasso di confusione e disorientamento che tanto ben si addice a un film dalla forte componente onirica. Una scena in particolare si distingue per la sua notevole complessità tecnica e che vede al centro il personaggio interpretato da Ivan Dorn, conosciuto in madrepatria principalmente per la sua carriera musicale: “Girare il piano sequenza per me è stato molto difficile. La scena era un’unica ripresa di 18 minuti in 18 set diversi. Avevamo solo due opportunità per farla, le abbiamo girate entrambe ma abbiamo tenuto la prima. Alla fine di questa esperienza ho capito di essere diventato un vero attore, anche se quando lavori con un regista come Kirill e con la sua squadra di professionisti, chiunque può esserlo”.
Nel cast si distingue anche Jurij Kolokol’nikov, celebre per essere l’unico attore russo presente nell’immenso cast di Game of Thrones: “La prima volta che ho lavorato con Kirill è stato venti anni fa, ai tempi del mio diploma. Quando mi ha chiamato per questo film era davvero felice di recitare in questo film. Alla fine della prima scena, viene da me e mi dice: lo sai che sei diventato un bravo attore? Grazie, sono passati 20 anni!”
Ideale per provare la sensazione di una sbronza senza intaccare il proprio fegato, Petrov’s Flu prende le sembianze di un’opera d’arte complessa e ampia (dura quasi due ore e mezza), che riesce a restituire le infinite contraddizioni che arrivano dal profondo Est dell’Europa. Contraddizioni che hanno colpito anche il regista del film, agli arresti domiciliari per un’accusa non provata di appropriazione indebita che, guarda caso, è andata a coincidere con le sue dichiarazioni contro il governo per il trattamento riservato alla comunità LGBT.
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