La nuova guerra di Oliver Stone


Sembra che la cosa che più sta a cuore a Oliver Stone, in questo momento, sia la sua monumentale storia d’America per immagini, The Untold History of the United States, un documentario di dieci ore che il regista non esita a definire “il culmine della mia carriera”. Gli ha richiesto quattro anni di lavoro con la consulenza di vari storici e ora sta per essere svelato al pubblico americano dal 12 novembre. Se il documentario è sempre più nelle sue corde, l’occasione in cui lo incontriamo è l’uscita in Italia di un nuovo film di fiction, Le belve, a due anni da Wall Street Il denaro non dorme mai. Tratto dal romanzo di Don Winslow (pubblicato da Einaudi), in sala il 25 ottobre con Universal, è un noir in piena luce, molto tarantiniano per l’ultaviolenza che mette in campo, ambientato nel mondo del narcotraffico. “Gli americani – dice il regista di Platoon, tre volte Oscar – devono fare i conti con una guerra alla droga infinita dove non si capisce bene chi sia il nemico, se chi usa stupefancenti o chi li spaccia. Io che ho vissuto tutta la vita in conflitto, dal Vietnam all’Afghanistan, non potevo non appassionarmi al libro di Winslow”. Anche per l’originalità dei suoi personaggi: i giovani belli e spietati che coltivano l’erba biologica in casa, la sanguinaria boss del cartello messicano che contemporaneamente è una brava madre e una devota cattolica, l’agente doppiogiochista della narcotici, viscido e imprevedibile. “In tutti i personaggi, anche quelli più insospettabili, emerge la belva”, dice ancora Stone, che divide il suo film in tre parti: “Il primo atto racconta la vita in spiaggia di questi ragazzi che vivono nella California del Sud, il secondo ci porta nel mondo oscuro dei trafficanti messicani, il terzo è un western moderno con le auto al posto dei cavalli”. Per John Travolta, che ha il ruolo dello sbirro corrotto, “il cartello messicano è diverso dalla mafia newyorchese perché non si pone limiti morali e si accanisce anche contro donne e bambini”. Mentre la boss Salma Hayek aggiunge: “Ho parlato con una donna, messicana come me, che aveva sostituito il marito mentre questo era in carcere a capo della banda. Era completamente concentrata sul business senza pensare ad altro e quando poi il marito è morto, ha preso tutti i soldi e se n’è andata”.

 

Qualcuno rimprovera al film – che ha nel cast i giovani Taylor Kitsch, Blake Lively, Aaron Taylor-Johnson, insieme a Benicio Del Toro e Emile Hirsch – un eccesso di brutalità con teste mozzate e varie nefandezze, ma l’ex Frida Kahlo lo difende: “Non è il film ad essere violento ma la realtà. Spero che molti spettatori, vedendolo, si rendano conto che drogarsi non è un gioco divertente e che chi si droga ha una parte di responsabilità nella catena di morti che il traffico si lascia dietro”.

 

Quanto allo stile, se Travolta cita Sergio Leone per l’uso di immagini in piena luce, Oliver Stone nega inizialmente qualsiasi riferimento diretto. “Non mi viene in mente nessun film italiano, l’ultimo che ho visto è Gomorra, ma c’entra ben poco”. Però poi aggiunge: “Se devo pensare a un western, e il western è un genere che mi piace molto, citerei Duello al sole oppure quelli di Leone”.

 

Infine una battuta sulle presidenziali americane. “Se vince Romney torneremo indietro ai tempi di Bush, se prevale Obama abbiamo ancora qualche speranza”.

autore
25 Settembre 2012

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