Si è spento il 12 luglio all’età di 45 anni, il musicista, sceneggiatore e scrittore Lorenzo Amurri. Aveva iniziato la sua carriera come musicista e dopo l’incidente sugli sci che lo aveva costretto sulla sedia a rotelle era arrivato al successo come scrittore con il romanzo Apnea in cui racconta la sua rinascita. “Ho un drago tatuato sulla schiena, che protegge tre caratteri giapponesi: strada, musica e libertà. La mia vita è ruotata intorno al loro significato”, scrive nel libro autobiografico.
Lorenzo Amurri era nato a Roma nel 1971. Figlio d’arte, suo padre era lo scrittore e paroliere Antonio Amurri e il fratello quel Franco Amurri, regista, che ha avuto una figlia con Susan Sarandon. Musicista, produttore musicale, sceneggiatore e scrittore, ha suonato e collaborato con diversi artisti (Tiromancino, Lola Ponce, Lory D, Asia Argento, Califano). Ha iniziato con un blog (tetrahi.blogspot.com) e alcuni racconti (uno è nell’antologia Amore caro a cura di Clara Sereni). Apnea, pubblicato da Fandango Libri nel 2013, è il suo romanzo d’esordio, considerato un successo editoriale e insignito nel 2015 del Premio Europeo per la Letteratura. Il suo secondo romanzo è Perché non lo portate a Lourdes? (Fandango Libri, 2014).
“Dopo tutti questi anni nei quali si è dedicato a noi, per insegnarci a vivere, a essere uomini e donne, ad accettare e a non accettare, a comprendere il valore delle cose, a coltivare i nostri sogni e a ringraziare per i doni ricevuti, Lorenzo, il nostro amatissimo Lorenzo, ha deciso di prendersi un po’ di tempo per sé. Aveva un sacco di cose da fare, e le sta già facendo: suonare la chitarra nella notte, correre, saltare, sciare, fare surf, ballare, imparare a volare. Come dargli torto? Come azzardarsi a piangere, solo perché non ci è più accanto? Cominciamo a ringraziarlo, piuttosto, e continuiamo a farlo per tutto il tempo che ci resta, ogni santo giorno, perché il privilegio d’esser stati qui con lui, in questo strano posto dove si soffre per un nonnulla, ci ha reso speciali, e lo dimostreremo”, con queste parole l’ha salutato Sandro Veronesi.
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