“Tutto è iniziato nel 1999, quando dopo aver assunto mezza pasticca di Ecstasy mi sono ritrovata tra la vita e la morte con epatite tossica fulminante. Sono uno dei rari casi di sopravvissuti a questa reazione, dopo 17 ore di intervento e un trapianto di fegato”. Lo racconta Giorgia Benusiglio, ora impegnata a fare prevenzione e informazione sugli effetti delle droghe presso i giovani. Anche con un’iniziativa come il film La mia seconda volta, distribuito da Dominus e prodotto da Linfa Crowd 2.0 con Vargat Film, e ora in tour con una distribuzione doppia: matinée appositamente organizzata per le scuole (anche in proiezione stampa sono presenti diverse classi) e serata al cinema tradizionale, per raggiungere il maggior numero di persone.
“Attualmente hanno aderito 360 scuole, per circa 200mila studenti – spiega il produttore Simone Riccioni, che è anche interprete insieme a Aurora Ruffino, Mariachiara Di Mitri, Federico Russo, Luca Ward, Isabel Russinova, Daniela Poggi e la star di ‘Un posto al sole’ Ludovica Bizzaglia, per la regia di Alberto Gelpi – si inizia ufficialmente il 21 marzo. Le proiezioni saranno accompagnate da incontri con me e Giorgia per sensibilizzare i ragazzi, e dopo una diffidenza iniziale devo dire che stiamo accogliendo parecchie adesioni”.
“Sono stata un caso raro – spiega ancora Benusiglio – finita su tutte le riviste di scienze dell’epoca. Poi ho intrapreso la strada dell’informazione, mi sono laureata in Psicologia della Famiglia alla Cattolica di Milano e ho iniziato la mia attività sia presso le scuole che presso le carceri. Ne faccio sei su sette e in un anno giro circa 90 scuole. Se lo faccio è perché vedo che ce n’è bisogno. Non demonizzo le sostanze ma spiego quali sono i loro effetti. Tutti i giovani sanno che le droghe fanno male ma pochi sanno che basta mezza pasticca per ucciderti. Quando lo chiedo, su 100 alzano la mano in 15. E non si tratta solo delle sostanze da taglio, anche il principio attivo può essere letale, come nel caso di Kristel Marcarini. Nel film abbiamo romanzato qualcosa. Mio padre, ad esempio, ha portato le pastiglie che avevo preso in ospedale ma non è servito a niente per capire come aiutarmi. Il problema è proprio questo: le sostanze in una pasticca possono essere tantissime e tutte diverse, quando i ragazzi arrivano in ospedale in condizioni gravi i medici non sanno come aiutarli, perché non sanno bene con cosa hanno a che fare. E oggi è peggio di ieri perché le sostanze sul mercato aumentano. Nel mio caso mi hanno salvata l’analisi del fegato e l’esame tossicologico del capello, che dice quante sostanze hai assunto per gli ultimi sei mesi. Anche perché nessuno poteva credere che fosse stata solo mezza pastiglia a ridurmi in quello stato. Grazie al mio caso, si sono potuti salvare altri ragazzi dopo di me. Di vero nel film c’è che la protagonista è molto inquadrata, non immagina mai di poter avere l’occasione di fare queste cose, ma basta una distrazione. E poi la storia del trapianto. Ho conosciuto i genitori della mia salvatrice, che nel film si chiama Ludovica ma nella realtà si chiama Alessandra. Per legge non potrei conoscere i parenti del mio donatore ma data l’eccezionalità del caso si è chiuso un occhio”.
“Un film sulle conseguenze – dice il regista Gelpi – Uno spunto di riflessione lasciato ai ragazzi e agli adulti, che non intende però fare moralismi né lanciare insegnamenti a tutti i costi. Un quadro il più possibile oggettivo che ogni spettatore potrà guardare per formarsi una propria idea”.
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