VENEZIA – Con un metodo vicino al documentario antropologico e una costruzione drammaturgica forte ed emozionante, il filippino Brillante Mendoza conferma il suo talento registico con Thy Womb, in concorso a Venezia e probabile candidato a un premio. Nella remota regione di Sitangkai, Tawi-Tawi, nel Sud delle Filippine, ai confine con gli arcipelaghi malesi e indonesiani, vive una comunità di religione islamica, dedita alla pesca e ai piccoli commerci, che abita su palafitte galeggianti, costantemente minacciate da attacchi dei pirati (un’eco del precedente suo film Captive). Protagonisti sono una coppia di mezza età: Shaleha (Nora Aunor) non ha potuto avere figli, mentre il marito Bangas ne vorrebbe. Il film racconta appunto la lunga ricerca di un giovane seconda moglie, ricerca in cui anche Shaleha, per amore del suo uomo, si impegna sacrificando se stessa. Lei, tra l’altro, è la levatrice del villaggio e colleziona cordoni ombelicali che conserva dentro piccoli pezzi di stoffa. E la pellicola si apre e si chiude proprio con due scene di parto girate dal vivo e davvero forti. “Tawi-Tawi – dice il regista – è un luogo ricco di risorse e bellezza naturale ma impantanato in una crisi economica e socio-politica. Un tranquillo inferno in un paradiso”.
Thy Womb, che nasce da uno scrupoloso lavoro precedente di ricerca sul campo, è molto attento nella ricostruzione di usi e costumi locali e contiene tra l’altro una lunga scena di un matrimonio tradizionale in cui viene anche sgozzato un bufalo per propiziare le nozze. Per Mendoza rappresenta un ulteriore capitolo della sua riflessione sulla violenza, che in questo caso è interiorizzata oltre che esplicita.
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La redazione va in vacanza per qualche giorno. Riprenderemo ad aggiornare a partire dal 2 gennaio. Auguriamo un felice 2018 a tutti i nostri lettori.
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