Non c’è in tutta la storia del cinema un mito più celebrato di quello legato a Orson Welles: genio, istrione, prestigiatore e mago, bambino prodigio e inesausto sperimentatore, bugiardo compulsivo e seduttore. Ma quasi tutte le sue vite si sono poi riassunte in una sola, in cui il privato diventa pubblico e l’insieme dei due costruisce un monumento, la leggenda “Bigger than Life” di George Orson, nato a Kenosha, Wisconsin nel 1915 e destinato, suo malgrado, a diventare cittadino del mondo.
Il mito sulle cui tracce mi ha messo, ormai diversi anni fa Davide Ferrario con il suo bel romanzo Dissolvenza al nero(Sperling & Kupfer), è invece molto meno conosciuto, mai sbandierato dal narciso regista: Orson è stato una spia? La chiave d’accesso è il suo Mr. Arkadin, girato in tutta Europa nel 1955. Un film-specchio del suo capolavoro Citizen Kane, finito come tanti altri in un disastro, riemerso ben sette volte in versioni differenti – nessuna delle quali mai veramente approvata dall’autore -, accompagnato da un romanzo che Welles rinnegava (molti dicono l’avesse scritto l’amico e critico Maurice Bessy). Anche in quest’opera monumentale e irrisolta il tema è quello dell’inutile ricerca della verità in cui giganteggia un uomo ricchissimo e dal passato oscuro, per cancellare il quale ingaggia un improvvisato detective che lo porti a ritrovare i testimoni che potrebbero rivelare il suo vero volto. Il soggetto viene dalla serie radiofonica The Lives of Harry Lime (1951/’52). L’episodio è L’uomo del mistero e prende scopertamente spunto da un radiodramma di Ellery Quinn in cui compare un certo George Arkaris, di origine ignota, proprietario di un castello in Spagna e di una tenuta in Costa Azzurra. Non vi suona familiare?
Poco dopo, nel ’54, Welles registra una serie per la tv inglese; a produrla è un suo vecchio amico americano, Louis Dolivet, intenzionato a sostenere i progetti del regista a cui si era legato nei primi anni ’40 quando Orson e Rita Hayworth frequentavano lui e sua moglie, Beatrice Whitney Straight, attrice di talento ma soprattutto erede della famiglia Whitney, imparentata con i Vanderbilt. Ed è proprio Dolivet a produrre Mr. Arkadin, ma l’amicizia tra i due si rompe quando – sfiancato dalle incertezze del suo pupillo – gli toglie il “final cut” e fa uscire il film in una prima versione. Troverete poche tracce di quest’uomo nelle enciclopedie di cinema, molto di più negli atti della commissione McCarthy al tempo della “caccia alle streghe”. L’inchiesta a suo carico ne fa scoprire la vera identità: Ludovici Udeanu, nato in Austria-Ungheria nel 1908, anche noto come Ludovic Brecher, editore della rivista anti-nazista e liberal “Free World” (per cui scrisse lo stesso Welles), addetto alle Nazioni Unite, poi indiziato come agente sovietico sotto copertura e certamente legato a doppio filo con Michael Straight, spia russa legata a Kim Philby e ai “5 di Cambridge” come rivelato dall’ex agente del KGB Alexander Vassiliev. Welles simpatizzante del Comintern (la Terza Internazionale Comunista)? Non corriamo troppo. Di certo si sa che il suo amico Dolivet – costretto a scappare dagli USA nel 1952 e poi naturalizzato francese – aveva già provato a convincere il regista di Citizen Kane a candidarsi come senatore in Wisconsin ed esercitò su di lui una grande influenza prima della guerra, avvicinandolo a idee socialiste e introducendolo nell’entourage del Presidente Roosevelt. Fu così che, mentre lavorava a The Magnificent Ambersons, nel novembre 1941 Nelson Rockfeller, grande sostenitore del partito, coordinatore della propaganda USA e finanziatore della RKO, chiamò Orson Welles “alle armi” facendolo nominare “Goodwill Ambassador” del Governo e spedendolo in Brasile. E’ provato che gli fu chiesto di esercitare il suo carisma raccogliendo informazioni “sensibili” mentre girava, gratuitamente, il documentario It’s All True: non proprio una spia, ma un informatore e un influencer ante-litteram.
A guerra finita, rifiutato da Hollywood e in cerca di lavoro, Orson approda a Roma per un kolossal in costume nei panni di Cagliostro (1948), film prodotto e diretto (in parte) da Gregory Ratoff cui seguiranno altri lavori simili come Il principe delle volpi e La rosa nera entrambi con Tyrone Power. Alla ricerca perenne di soldi per il suo Othello, innamorato respinto (?) di Lea Padovani e poi della contessa Paola di Gerfalco più nota come Paola Mori (la sua terza moglie), inseguito dai creditori dopo le notti brave nei locali alla moda, installato all’Hotel Excelsior, Welles finirà per accettare la proposta del produttore inglese Alexander Korda per il ruolo di Harry Lime ne Il terzo uomo (1949). Rifiuta la proposta di una percentuale sugli incassi (“L’errore più grande della mia vita!”) in cambio di un assegno con cui pagare l’hotel e avviare la produzione di Othello. Ma in quegli anni succedono molte cose in Italia: il presidente Truman ha varato la sua “cultural diplomacy” sull’Europa con il Piano Marshall; la Democrazia Cristiana ha bisogno di fondi per contrastare l’ascesa dei comunisti, oltre il mare cresce l’influenza del Maresciallo Tito. E’ proprio un caso la cena di Orson al ristorante Romualdo a Piazza della Torretta con Palmiro Togliatti? Quanti politici frequentano il palazzo romano del molto discusso regista polacco Michał Waszyński (poi aiuto regista di “Othello”)? E dove scompare il Genio mentre a Vienna lo aspettano sul set de Il terzo uomo? Le sue tracce portano in Jugoslavia dove tornerà anni dopo per I Tartari e poi nel kolossal patriottico voluto da Tito, La battaglia della Neretva. Alcuni indizi conducono insomma a vedere nei primi anni italiani di Welles una nuova stagione del suo ruolo di “Ambasciatore di Buona Volontà”, magari con idee lontane dal non amato presidente Truman, come ricorda l’esperto wellesiano Gianfranco Giagni. Del resto si trattava della logica conseguenza del suo credo politico, fieramente democratico e mondialista.
Così si torna, come nel gioco degli specchi di The Lady from Shanghai, a Mr. Arkadin. In cui Welles dimostra di avere informazioni di prima mano sul personaggio che ispira il suo diabolico eroe nero: si tratta infatti del mercante d’armi, poi al soldo degli inglesi negli anni ’30, Basil Zaharoff. A lui guardò anche Ian Fleming per costruire l’identità dell’arcinemico di James Bond, il sedicente conte Ernst Stavro Blofeld. Forse in Mr. Arkadin si può leggere una metafora dell’ossessiva ricerca da parte di Welles di cancellare le prove della sua vita precedente da spia. Anche distruggendo un’amicizia, quella con la vera spia Louis Dolivet.
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