Una voce piuttosto roca, “graffiata”, tanto che al primo tentativo non la presero all’Accademia Silvio D’Amico quando era solo Maria Luisa Ceciarelli, una ragazza romana nata il 3 novembre 1931 e che voleva a tutti i costi fare l’attrice per “salvarsi la vita” Ancora così si chiamava, Ceciarelli, prima di prendere un pezzo del cognome della madre, Vittiglia, per farne un nome d’arte che sarebbe diventato famoso, anzi famosissimo. Monica Vitti, la musa di Antonioni, l’unica donna comica capace di stare all’altezza dei colonnelli della risata, l’antidiva per indole, bella ma senza farci caso, è al centro della mostra “La dolce Vitti”, esposizione multimediale in cartellone a Roma dall’8 marzo al 10 giugno al Teatro dei Dioscuri al Quirinale. Curata da Nevio De Pascalis, Marco Dionisi e Stefano Stefanutto Rosa, ideata e organizzata da Istituto Luce Cinecittà, esplora l’universo artistico e umano di questa attrice senza eguali a partire dalla voce che ci accoglie nell’installazione immersiva della prima sala, dove attraversiamo otto veli fotografici in bianco e nero in cui è affascinante ma anche sempre in qualche modo buffa.
Dieci capitoli ce la raccontano. Dall’Accademia ai primi passi in teatro, dove fu straordinaria interprete ma che finì per trascurare a favore di cinema e tv. Quindi ecco il doppiaggio evocato da una saletta dove possiamo ascoltarla mentre dà voce a Dorian Gray ne Il grido: fu lì, nel 1957, che conobbe Michelangelo Antonioni. Lui elogiò la sua nuca e lei replicò sicura: “Ho anche una faccia, o mi vuole inquadrare solo di spalle”. Così venne il cinema dell’incomunicabilità (nel 1960 L’avventura fischiato e deriso a Cannes ma poi premiato e difeso addirittura da una lettera di sostegno che aveva come primo firmatario Rossellini). E ancora La notte, L’eclisse, Deserto rosso. La svolta nella commedia (all’inizio fu Blasetti a scoprirne la verve già intuita da Sergio Tofano ai tempi dell’accademia), dove dà il meglio di sé e fa spesso coppia fissa con Alberto Sordi. Dal 1968, anno del mitico La ragazza con la pistola, sono circa 40 titoli al suo attivo con registi come Scola, Monicelli, Risi, Loy, Salce. Alcuni a episodi. Attraverso le immagini si raccontano anche gli altri due uomini della sua vita dopo Michelangelo: il direttore della fotografia Carlo Di Palma, che la diresse in Teresa la ladra dal romanzo di Dacia Maraini, e Roberto Russo, l’attuale marito che ha saputo sempre proteggerla dagli sguardi indiscreti nella malattia. Russo, tra l’altro, ha fornito alcune rarità fotografiche alla mostra. Quindi le apparizioni televisive che ne fanno, nel ’94, la donna più amata dagli italiani. Il Leone alla carriera nel ’95, rievocati da filmati filtrati da un caleidoscopio. Infine le prove da autrice e regista: Francesca è mia e Flirt (tra i cinque titoli in rassegna ai Dioscuri) dove a dirigerla è Roberto Russo e Scandalo segreto dell’89, suo debutto nella regia.
70 foto che provengono da importanti archivi pubblici, quello dell’Istituto Luce in primis, e poi l’Accademia d’Arte drammatica Silvio D’Amico, il Centro Sperimentale di Cinematografia, e privati (Reporters Associati, Archivio Enrico Appetito, fondi personali di Elisabetta Catalano e Umberto Pizzi), libri “aumentati” in digitale, documenti inediti, copertine di rotocalchi, i cinegiornali del Luce, un’intervista realizzata da Donatella Baglivo, i materiali delle Teche Rai e le testimonianze video realizzate per la mostra con Giancarlo Giannini, Silvia Napolitano, Dacia Maraini, Laura Delli Colli, Carlo Molfese, Michele Placido, Vincenzo Salemme, Enrico Vanzina.
Oltre alla rassegna di cinque film suoi (L’avventura di Michelangelo Antonioni, La ragazza con la pistola di Mario Monicelli, Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) di Ettore Scola, Teresa la ladra di Carlo Di Palma, Flirt di Roberto Russo.) che saranno proiettati durante i giorni della mostra, c’è un volume edito da Edizioni Sabinae e Istituto Luce-Cinecittà, a cura di Nevio De Pascalis, Marco Dionisi e Stefano Stefanutto Rosa, con l’introduzione di Irene Bignardi, che ce la racconta anche attraverso un apparato iconografico di oltre 100 immagini. E sulla copertina, come ci racconta Stefanutto Rosa, un fotogramma de L’avventura in cui Monica si guarda allo specchio e si aggiusta i capelli. Lo stesso film era stato scelto nel 2009 dal Festival di Cannes per una locandina che rendeva omaggio alla sua bellezza e al suo talento.
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