Daria, attrice e autrice, e Antonio, coreografo e danzatore, abitano a Roma, nella stessa palazzina. Da anni condividono la vita artistica e privata, le emozioni e i pensieri. Il loro è un sodalizio, sono una vera coppia artistica. Ma ora tutto sta per cambiare.
Passa alle Giornate degli Autori Siamo qui per provare, emozionante docu-fiction di Greta De Lazzaris e Jacopo Quadri.
“Ora che ti trasferisci – dice Antonio a Daria nel film – sarà un po’ strano. Più strano per me che rimango: chi va via, va via per qualcosa di nuovo, invece, chi resta, ha una mancanza. Anche se non ci vedevamo, mi bastava passare davanti alla tua porta per sapere che c’eri”.
Già, perché Daria si sposa con Attilio e trasloca in un altro quartiere. Intanto, cominciano a lavorare a un nuovo spettacolo ispirato al Ginger e Fred di Federico Fellini, in un gioco di interpretazione e identificazione con la coppia Mastroianni/Masina. Il gruppo di lavoro è composto dagli altri attori, Emanuele, Monica, Francesco e Martina con l’aiuto regista Andrea e la costumista Metella. Siamo nel 2021, in era pandemica, con i teatri spettrali e abbandonati ad un letargo forzato. Si comincia dalle lezioni di tip tap e dalle improvvisazioni, in cui la drammaturgia viene scritta giorno per giorno, prima a Roma, poi a Rimini e a Tolosa, in un viaggio che dopo sei mesi approderà al debutto al Teatro Argentina. Il metodo di lavoro di Daria e Antonio spesso va a scavare dentro la vita di ognuno degli attori della compagnia.
Ne escono fuori confessioni, dubbi personali e molte domande: “Cosa abbiamo da dare agli altri? Perché siamo attori, artisti? Qual è la nostra responsabilità nei confronti del pubblico e del mondo che ci circonda? “.
Tra i dubbi, nell’euforia creativa, i nostri attori finiscono per assomigliare sempre di più ad un gruppetto di naufraghi, in uno spaesamento dove si mescola continuamente la vita reale con lo spettacolo che (non) sta prendendo forma. Aleggia su tutti, ognuno a suo modo, la paura di perdere la rotta e di non arrivare a portare in scena niente …
“Abbiamo – dicono i registi – accolto la proposta di Daria e Antonio di girare un documentario sul loro nuovo progetto teatrale con l’idea di osservare e indagare le interferenze tra la vita intima e quotidiana e la creazione artistica. Conoscendo il loro metodo di lavoro, sapevamo che le prove ci avrebbero dato l’occasione di confondere i piani, quello del reale con la finzione. Di fatto le riprese sono iniziate con il matrimonio di Daria. Come troupe solo noi due con un’unica telecamera, per non essere d’intralcio, ma sempre presenti, discreti ma mai invisibili, altri occhi ad osservare. Durante i mesi di prove, in piena pandemia, abbiamo condiviso con la compagnia, registi e attori, i dubbi, il sentimento di inadeguatezza, la fatica. Così la paura di non arrivare a niente, che ci accumuna, trova una forma, come se fosse la vita in divenire con le sue traiettorie inaspettate. Immergere lo spettatore nella vicenda dei protagonisti del documentario, è stata una scelta conseguente al metodo Deflorian /Tagliarini, come se chi guardasse non solo guardasse ma vivesse con loro.
Assecondare il flusso per osservare e rendere percepibile gli sforzi del gruppo al lavoro: le difficoltà, i dubbi, il mettersi in gioco per imparare a ballare, lo stare al mondo come artisti negli spazi svuotati dalla pandemia, i risultati e i fallimenti prima del debutto. La camera è rimasta vicinissima agli attori, attenta e mobile per ribadire e ribaltare sullo spettatore un’aderenza totale in un rapporto di vicinanza e condivisione. Il film è girato con una sola telecamera, volutamente, per non avere una molteplicità di punti di vista. Così come la presa diretta sonora è stata sempre contigua alla ripresa. Siamo stati una troupe piccola, quasi invisibile, creando una sorta di consuetudine per ottenere il massimo della spontaneità. In fase di montaggio abbiamo costruito la narrazione del film e, nella coralità, abbiamo messo a fuoco ogni personaggio, facendo emergere ogni dettaglio del suo percorso. La musica, originale, di Valerio Vigliar scandisce ciclicamente il tempo. Alla fine dei 90 minuti di film è passato un anno, vissuto insieme in un’esperienza che ci ha arricchiti e messi in discussione, emozionati, forse svuotati ma ci anche contagiato una spinta vitale nuova e imprevista; abbiamo conosciuto da molto vicino delle persone che non avremmo mai conosciuto, se non attraverso lo sguardo del film: un gruppo di artisti, giovani e più maturi, che provano a vivere, costruendo uno spettacolo”.
QUI UNA CLIP DEL FILM:
E' possibile iscriversi per team di nazionalità italiana composti da registi alla loro opera prima o seconda, associati a produttori che abbiano realizzato almeno tre audiovisivi
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