Una bambina cerca funghi nel bosco, insieme a lei un papà dalla voce amorevole. Una voce, un ricordo e niente più: questo è quello che resta per la piccola Irene – e per lo spettatore – dal momento in cui il padre resterà vittima di un pirata della strada. L’assassino fuggirà subito dopo, non prima di avere impresso nella memoria della bambina i lineamenti del suo volto, resi vaghi dal riflesso sul parabrezza. Il prologo di L’uomo sulla strada – film d’esordio di Gianluca Mangiasciutti, dal 7 dicembre in sala – è una promessa di racconto potentissima, mettendo in scena l’incontro tra due personaggi – la bimba e il pirata – che tesseranno la trama di questo thriller sentimentale con protagonisti Aurora Giovinazzo e Lorenzo Richelmy.
Dieci anni dopo l’incidente, Irene è diventata una giovane donna irrequieta e incapace di accettare la morte del padre. L’unico luogo in cui si sente bene, con la sua capacità di ovattare la realtà che la circonda, è l’acqua di una piscina, ma la sua rabbia costante le impedisce di valorizzare il suo grande talento. Una volta trovato lavoro in una fabbrica non troppo lontano da casa, comincerà una relazione ambigua con Michele, il giovane proprietario dell’azienda. Ciò che non sa è che l’interesse dell’uomo verso di lei nasce da un senso di colpa: è proprio lui l’assassino di suo padre.
“La vendetta è radicata in Irene, – spiega il regista Gianluca Mangiasciutti – ci immedesimiamo in un personaggio che cresce dall’età di 8 anni senza un padre. Passano dieci anni per la prescrizione, ma il caso viene subito messo da parte. L’unica a cui interessa davvero fare luce su questa storia è Irene, c’è in lei una frustrazione, c’è una agonia molto tangibile. L’inizio del film è molto thriller, poi tutto si sedimenta ed escono fuori gli aspetti emozionali. Dopodiché gli ultimi cinquanta minuti sono una rampa di lancio verso un finale esplosivo, in cui c’è anche un sunto del romanticismo seminato”.
L’incontro-scontro tra i due protagonisti è fondamentale per la tenuta drammaturgica di tutto il film. Da una parte c’è la rabbia spropositata di Irene, il suo istinto di auto-distruzione sedato dalla coltre protettiva che gli stende sopra Michele, dall’altra c’è l’affetto dell’uomo verso la ragazzo, che entra in conflitto con la terribile consapevolezza della sua colpa più grande, che da anni lo divora.
“Anche io sono una ragazza molto rabbiosa, istintiva, cocciuta, introversa. – dichiara Aurora Giovinazzo – Era un po’ tutto nelle mie corde, soprattutto dal punto di vista fisico. Ho un bellissimo rapporto con lo sport, dovendo fare una nuotatrice, è stato molto bello per me. Dal punto di vista caratteriale ho avuto sensazioni bellissime e intense. Abbiamo trovato i colori giusti da dare a Irene: è uscito tutto in maniera istintiva, come è lei”.
“Per la prima volta faccio l’uomo, perché in Italia se non hai 50 anni fai sempre il ragazzino. – ironizza Lorenzo Richelmy – Abbiamo fatta una cosa che si fa mai in Italia, le prove, che poi è uno dei motivi per cui vengono film mediocri. Con Aurora mi sono trovato benissimo. Siamo stati molto fortunati e sono stati bravi a farci incontrare. Una lettura la fai con chiunque, ma fare determinate scene, emotivamente molto pesanti, quando hai una persona come Aurora – disposta al lavoro più totale e con un’etica – stai lì con un unico pensiero: che la scena venga bene. E non è assolutamente scontato in questo mestiere. Tutte le volte che dovevamo necessariamente trovare un incontro intimo, ho trovato una grandissima complice”.
Ben accolto all’ultima Festa del Cinema, L’uomo sulla strada è indubbiamente un buon esempio di come un esordio cinematografico dovrebbe essere gestito. Un film compatto, al tempo stesso semplice e intrigante, e che, soprattutto, sa inserire una punta di genere in una ricetta in cui tutti gli ingredienti sono ben misurati. Diviso tra senso di colpa e vendetta, redenzione e perdono, lo spettatore resterà avvinghiato fino alla fine per scoprire la risoluzione di un dramma, apparentemente, senza vie di fuga.
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