CANNES. Jacques Audiard lo ha omaggiato in apertura dei titoli di testa del suo De rouille et d’os in corsa per la Palma d’Oro. Il festival, che gli ha assegnato nel ’98 il Premio della giuria per La classe de neige e l’ha avuto anche tra i giurati, lo celebra in chiusura con il suo ultimo lavoroThérèse Desqueyroux, Fuori concorso, a quasi due mesi dalla morte.
Claude Miller, regista di circa 20 opere, era stato assistente di Marcel Carné, Robert Bresson, Jacques Demy e Jean-Luc Godard ed era stato anche production manager di quasi tutti i film di Truffaut. Il successo internazionale e di pubblico gli arrivò nel 1981 con Guardato a vista nel quale diresse Lino Ventura, Michel Serrault e Romy Schneider, in un bel film da camera su un commissario che interroga un sospettato per ore.
Thérèse Desqueyroux, dall’omonimo romanzo di François Mauriac scritto nel 1927 e ambientato nella campagna francese vicino a Bordeaux negli anni ’20, ha per protagonista una giovane donna borghese e intellettuale, istruita dal padre radicale. Spirito libero, grande lettrice e fumatrice, Thérèse Larroque decide, quasi spaventata dal suo tumulto interiore, di diventare la signora Desqueyroux, sposando il suo vicino e unendo così le rispettive proprietà terriere.
Lei crede veramente che possa essere felice sposando Bernard, “mi aiuterà a mettere la testa a posto. Io ho scelto la pace”, dice prima del matrimonio. Bernard ama la donna, tollera le sue ‘stranezze’, le sue opinioni e il suo carattere forte. Ma Thérèse, diventata madre, non riesce a conformarsi a quest’uomo mediocre, provinciale e ai parenti di lui. Le sue idee all’avanguardia si scontrano con le convenzioni borghesi, immodificabili. Il suo pensiero anticonformista e la sua voglia di libertà sono incoraggiati dalla personalità della zia Clara che ha rifiutato di sposarsi e di sottomettersi alle condizioni matrimoniali. Ma sarà la storia d’amore della giovane cognata Anna, troncata brutalmente per volere della famiglia conservatrice, ad alimentare quel sentimento di rivolta che Thérèse ha rimosso o talvolta tenuto sotto controllo.
All’inizio era stato proposto a Miller di adattare per il grande schermo un altro lavoro di Mauriac, ‘Désert de l’amour’, ma Miller lo trovava datato e poco interessante. Ha pensato invece a un romanzo che lo aveva appassionato quand’era studente, ‘Thérèse Desqueyroux’. “Nel libro vi è un’atmosfera ambigua che richiede allo spettatore una partecipazione attiva. Ma prima di pensare alla sceneggiatura, dovevo imbattermi con l’attrice che avrebbe interpretato Thérèse. La mia costumista mi ha dato un libro di moda per mostrarmi come era vestita la gente a quell’epoca e tra le immagini vi era uno straordinario ritratto di Audrey Taotou“.
Il regista prima di girare non ha visto, per non esserne influenzato, il film realizzato nel 1962 da Georges Franju che era una fedele trascrizione. Inoltre Miller ha anche ‘tradito’ la struttura narrativa scelta da Mauriac. Il romanzo comincia dopo che Thérèse è stata assolta e procede per flashback: la donna rivive tutti i suoi ricordi fino a quella notte quando cammina fuori dal Palazzo di giustizia. “Non volevo costruire il mio film in questo modo. Oggi la narrazione in flashback è diventata ormai il modo di raccontare dei film tv del sabato sera. Ma questa storia andava assolutamente narrata in modo lineare, permettendo così di sentirci più vicini a Thérèse”.
E Miller ha anche modificato il personaggio del marito, mostrandolo non così brutale e provinciale, rigido e attaccato ai valori della famiglia come è descritto da Mauriac. “Se l’avessi rappresentato allo stesso modo avrei rovinato il mistero di Thérése”.
Nei suoi film spesso i personaggi femminili sono figure centrali cona la loro energia. “Per me il cinema vuol dire filmare persone che sono così misteriose da affascinare e sedurre lo spettatore anche se si comportano male; questo è il lato erotico della faccenda. E filmare le donne contribuisce per me a quell’erotismo. Gli uomini mi interessano meno forse perché li conosco meglio”.
Raramente Miller ha portato sullo schermo sceneggiature originali. “Un film impegna tre/quattro anni della mia vita e voglio perciò dedicarli a qualcosa che sento che ha forza – aveva dichiarato – Sono troppo critico con me stesso e con quello che scrivo, sempre mi viene da pensare che ‘fa schifo’. Se invece mi affido a Mauriac, ho almeno la garanzia della qualità”.
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