L’isola accoglie ciò che viene dal mare

Pietro Bartolo si occupa di immigrazione a Lampedusa da 25 anni, e ora è diventato il protagonista di 'Fuocoammare', orso d'oro a Berlino


BERLINO – “Noi siamo pescatori e accogliamo tutto quello che viene dal mare”. Lo spiega Pietro Bartolo,  un medico che da 25 anni si occupa di immigrazione a Lampedusa e che ora è diventato protagonista della pellicola Fuocoammare di Gianfranco Rosi che ha conquistato il premio più importante della kermesse. Alle sue commoventi parole il regista ha lasciato ampio spazio anche durante la conferenza stampa di chiusura, permettendogli di esprimere un punto di vista vicino a quello dei lampedusani, ma anche a quello dei migranti, di cui il film si occupa.

Bartolo soccorre, censisce, divide, smista, ha perfino il terribile compito di dover archiviare i cadaveri. Lo fa da volontario, facendo anche le veci dell’Usmaf, la sanità frontaliera.  Sposato con un altro medico dell’isola,  è reperibile 24 ore su 24. “Spero che il film di Rosi – dice  – girare, possa colpire le sensibilità della gente, e di chi può davvero fare qualcosa per mettere fine a questa tragedia dell’umanità. Ovvero i politici. Abbiamo svegliato l’orso dal letargo, speriamo ora di svegliare anche loro. C’è uno sbarco proprio in questo momento, alle 23.40, arriverà un carico di persone che scappano dalla sofferenza, dalla guerra, è gente che non vorrebbe andarsene dal proprio paese. Nessuno lo vuole, se non è costretto. Noi siamo stati accettati quando siamo dovuti andare in Tunisia, ora dobbiamo ricambiare. Ricordo ancora il primo sbarco, erano le tre del pomeriggio, e poi nel 2011 dopo la primavera araba. Noi siamo cinquemila e ne erano arrivati oltre settemila. Eppure i lampedusani non si sono tirati indietro: hanno offerto cibo, coperte, le loro case, un panificio dopo le sette panificava gratuitamente solo per dare a queste persone una vita un po’ più dignitosa. Se tutti noi contribuissimo a creare le condizioni per farli vivere decentemente nel loro paese saremmo tutti più contenti: noi, loro, perfino quelli che non li vogliono. Io, Rosi, voi giornalisti, insieme facciamo tante voci. E tante voci fanno un mare. Il mare è vita, deve essere vita, e non può diventare un cimitero”.

Naturalmente non sono mancati i commenti dello stesso Rosi: “E’ un grande onore e una grande responsabilità – ha detto il regista in merito al premio – Continuo a dire di non aver fatto un film politico, o comunque senza uno statement. E’ un film che in un certo senso parla d’amore. Ma spera anche di creare una consapevolezza. Non riesco a staccarmi da Lampedusa, ho ancora casa lì. Chiaramente voglio che i lampedusani vedano il film. Non sarà facile. Non ci sono sale se non una piccolissima di Rai Cinema. Bisognerà aspettare il bel tempo per proiezioni all’aperto”. Dopo il Leone d’oro a Venezia, questo è per Rosi il secondo premio importante in un festival internazionale, ottenuto con un documentario: “Penso che i documentaristi italiani siano molto bravi,  io faccio il mio percorso, cercando di rompere la barriera tra realtà e finzione, senza che l’una sconfini nell’altra. Significa invece cercare la verità attraverso la potenza delle immagini, ed è lì che la differenza tra vero e falso emerge. Sono cittadino del mondo e quelle facce, su quella barca, sono anche le facce della mia storia. Non ci possiamo girare dall’altra parte. E’ un crimine, succede davanti a noi ed è un autentico massacro”.

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