“Coming Back è semplicemente il mio punto di vista artistico e penso che le persone potranno capirlo e apprezzarlo. Molte persone mi hanno chiesto: ‘perché Brexit? Tu non sei britannico e Brexit non fa parte del tuo mestiere’. E ho risposto che era così, che sono italiano, ma sono anche cittadino europeo. E le conseguenze della Brexit potrebbero cambiare la vita degli europei che vivono nel Regno Unito, così, per questo motivo, ho scelto di raccontare questa storia, che è un film breve, non un documento sulla Brexit”, spiega Alessio Rupalti, regista del film.
Il volto, di ciascuno dei personaggi – una madre – Gillian Broderick, un padre – Mark Lisseman, un figlio – Karl Hughes – parla, e forse è proprio lì che risiede l’essenza di Coming Back: efficaci sono le espressioni, non grottesche, non teatrali, non manierate, ma intrise di intensa espressività, che in piccolissimi dettagli mimici comunicano dissenso, stupore, perplessità, rabbia, ma soprattutto amore.
L’elegante corto ha anche il pregio di colorarsi di una fotografia (Giacomo La Monaca) che sembra portare con sé qualcosa delle cromie di Sull’infinitezza (Om Det Oandliga) di Roy Anderson, scelta estetica che sembra – tra l’altro – rientrare in una dichiarazione di Rupalti, per cui “Ogni dettaglio di questa storia doveva avere un gusto strettamente inglese”, e proprio l’ensemble della gamma dei blu, le sfumature di grigio, gli ecru e gli acidi, tra pastellato e polveroso, sicuramente rimandano ad un gusto che è, anch’esso, “strettamente inglese”, a cui s’accompagna, in questa riflessione, la scrittura, del britannico Ivor Baddiel, pregna del sapore locale che il regista andava cercando.
La polarità tra tensione e intimità tiene il punto emotivo del film, su una colonna sonora di pianoforte e violoncello (musiche di Vittorio Giannelli): la Brexit – questione di attualità e realismo storici – viene usata da Alessio Rupalti a pretesto, perché interessato a immergersi nel nucleo più profondo della famiglia, quello in cui sopravvivono ancora antichi rancori mai affrontati e sciolti.
Da Genova a Londra, passando per Roma: Alessio Rupalti, natìo del capoluogo ligure, è sempre stato più a proprio agio dietro la macchina da presa, sin dalle prime esperienze, ma la Capitale l’ha chiamato come segretario di edizione e assistente alla regia di Pupi Avati, esperienza che però non l’ha fatto rinunciare alla regia pura, alla curiosità e alla ricerca connesse, e che un paio d’anni fa l’hanno portato a partire per Londra, e lì l’incontro con Ivor Baddiel appunto, da cui è nata la sceneggiatura del suo primo cortometraggio in lingua inglese: “il grande cambiamento è stato lavorare con interpreti britannici, era la prima volta che dirigevo in lingua inglese, ma sono molto orgoglioso del risultato perché Karl, Gillian, Mark hanno recitato in maniera eccellente, esattamente come desideravo i miei personaggi”.
E, come accenna lui stesso nella dichiarazione, una delle opportunità del film sono stati gli interpreti, che annoverano prestigiose partecipazioni a produzioni internazionali: Karl Hughes, recente protagonista di 24 Little Hours; Gillian Broderick ha recitato in Spider-Man 2: Another World; e Mark Lisseman ha interpretato Edward VII Duca di Windsor nella serie Tv prodotta da Like a Shot Entertainment.
Il corto, già in anteprima alla scorsa edizione di Alice nella Città, sabato 1 agosto viene proiettato in Italia, al Periferia dell’Impero Film Festival, e il giorno successivo al Ventotene Film Festival.
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