VENEZIA – Opera prima di Peter Landesman, giornalista d’inchiesta e corrispondente di guerra – è stato inviato in Kosovo, Pakistan, Afghanistan e Ruanda – ora anche scrittore di romanzi e cineasta, Parkland, il film prodotto da Tom Hanks in concorso a Venezia, non aggiunge nulla alla conoscenza dell’attentato a John Fitzgerald Kennedy (del resto, dopo il film del ’91 di Oliver Stone sarebbe stato difficile), ma si concentra piuttosto sulle storie umane che ruotano attorno al terribile week end in cui il presidente degli Stati Uniti venne ucciso a Dallas, il suo assassino Lee Harvey Oswald venne a sua volta colpito a morte e Abraham Zapruder, un sarto ebreo che aveva filmato quei drammatici momenti con la sua Super8 dovette decidere cosa fare di quelle immagini, ma tra i protagonisti di questa storia corale c’è anche l’agente dell’Fbi Jim Hosty, che sottovalutò le minacce di Oswald e un giovane medico che cercò di rianimare il presidente colpito a morte nel pronto soccorso del Parkland Memorial Hospital. Ed è proprio dall’ospedale texano che prende il titolo il film: “Parkland – ci spiega Landesman – è diventato per noi uno stato mentale, come Chinatown per Polanski, un luogo dove si va a morire, dove le speranze e i sogni vanno a infrangersi”.
Applaudito al Lido, dove è accompagnato anche da uno degli interpreti, Tom Welling, ma nel cast figurano anche Paul Giamatti, Zac Efron, Marcia Gay Harden, Billy Bob Thornton, Parkland è tratto dal libro di Vincent Bugliosi Four Days in November. “Quell’assassinio fa parte della mitologia americana ed è stato esposto alla speculazione politica e a illazioni di ogni tipo, crediamo di sapere tutto e invece probabilmente non sappiamo niente. Io mi sono concentrato sul caos e l’anarchia di quelle ore frenetiche, che possono farci pensare al clima di New York l’11 settembre. Ero lì vicino alle Twin Towers e ho toccato con mano cosa vuol dire sopravvivere alla paura e affrontare il fuoco nemico, in questi casi ci sono due reazioni possibili: il panico e la fuga o una qualche forma di quotidiano eroismo fatto di piccoli gesti”.
La sceneggiatura di Landesman cerca di mettere il pubblico nei panni di queste persone ordinarie, non Jackie Kennedy o il vicepresidente Lyndon Johnson, che pure sono in scena, ma l’infermiera che gestiva l’emergenza di una sala operatoria dove il sangue scorreva a fiumi. O il fratello di Lee Oswald, Robert, che si trova ad affrontare una tragedia scespiriana in piena regola. “Robert è un tranquillo impiegato padre di due bambini e improvvisamente capisce che suo fratello è il diavolo. La sua vita non sarà più la stessa”. Il film mostra una certa pietas per gli Oswald e cerca di comprendere le ragioni del comportamento di Lee attingendo alla sua storia familiare, al rapporto con una madre squilibrata che continua a difenderlo, affermando fa parte dei servizi segreti e meriterebbe di essere seppellito ad Arlington accanto al presidente. “Non ho simpatia per lui, ma riconosco la sua umanità. Credo che il suo più che un omicidio sia stato un gesto suicida. Lee, che aveva 23 anni, era gravemente disturbato e forse sapeva che avrebbe fatto quella fine”. Zapruder, anche grazie all’interpretazione di Giamatti, è l’altro protagonista di Parkland. Landesman ha avuto la piena fiducia della famiglia di Abraham, “per la prima volta i suoi nipoti ci hanno aperto le porte e sono anche stati con noi sul set”. Quell’unico filmato, che oggi in tempi di I-phone e videocamere, sarebbe inconcepibile, assunse all’epoca, nel 1963, un significato simbolico. “Girato con un Super8 che era appena stato messo in commercio, tanto che si temeva di rovinare la pellicola nello sviluppo, ha una valenza metaforica, tutti sanno che esiste anche se non l’hanno mai visto, si trova su youtube, noi l’abbiamo mostrato in modo obliquo, indiretto, proprio per restituire questa aura”. Quel filmato fu venduto a Life Magazine per 50mila dollari, una somma enorme per l’epoca, e successivamente al governo federale per 16 milioni. “Ma non credo che Abraham l’abbia fatto per avidità, penso che le sue motivazioni fossero più complesse. La sua vita, come quella delle altre persone coinvolte, fu distrutta. È quello che accade anche l’11 settembre o in Siria in queste settimane”. A Landesman, che adesso sta lavorando a un progetto sul caso Watergate, chiediamo di spiegare meglio il parallelo tra l’attentato alle Twin Towers e la morte di JFK. L’analogia è nella perdita del senso di invulnerabilità degli Stati Uniti? “L’America non era mai stata attaccata sul suo territorio fino all’11 settembre e il trauma di questo attacco spiega gli abusi di potere che ne sono derivati. L’analogia finisce qui. Ma è vero che, allora come oggi, se sei pronto a morire, come Lee Oswald, puoi fare qualsiasi cosa”. Parkland uscirà in sala a metà novembre, con una serie di proiezioni evento e poi andrà in onda su Raitre il 22 novembre, per i cinquant’anni dalla morte di JFK, in una serata Kennedy che prevede anche un approfondimento giornalistico con una puntata speciale di Agorà. Per la Rai, come hanno spiegato l’ad di Rai Cinema Paolo Del Brocco e il direttore di Raitre Andrea Vianello, questa è una novità assoluta.
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