Sergio Rubini è tornato per la nona volta dietro la macchina da presa dirigendo se stesso e il suo lanciatissimo conterraneo pugliese, il 27enne Riccardo Scamarcio, in Colpo d’occhio, un thriller psicologico girato tra Roma, Berlino, Venezia e le montagne abruzzesi, prodotto da Cattleya e Rai Cinema, in uscita a marzo del 2008. “Avevo incontrato Scamarcio mentre preparavo altri miei film, ma non l’avevo mai scelto perché ogni volta non mi sembrava di avere il ruolo adatto per lui. Ma è un attore e una persona che mi ha incuriosito da sempre, l’ho visto crescere e maturare e un anno fa abbiamo cercato insieme un racconto che tenesse presente le nostre caratteristiche, la nostra storia e le nostre diverse età, immaginando un incontro tra un uomo sotto i 50 anni e uno sotto i 30”, spiega Rubini.
La storia che il 48enne attore-regista ha scritto con Carla Cavalluzzi e Angelo Pasquini vede in scena il rapporto in bilico fra conflitto e amore che lega Lulli (Rubini), critico d’arte di successo, curatore di mostre e docente universitario di fama internazionale e un giovane artista polivalente, Adrian (Scamarcio), scultore provinciale di talento inurbato a Roma. Al centro della vicenda sarà determinante la presenza di una donna, (Vittoria Puccini, ancora protagonista con Rubini dopo Tutto l’amore che c’è), una giovane intellettuale che da allieva e amante di Lulli diventerà musa e riferimento di Adrian, provocando una serie di eventi dalle conseguenze prevedibili e… imprevedibili. “Il film si ripropone di indagare sull’attrito a volte conflittuale, altre volte produttivo, che nasce tra chi crea arte e chi ne parla, tra chi muove materia e chi muove pensieri e aspira a raccontare l’abiezione morale che in genere si consuma in ambienti ricchi e molto confortevoli. Oggi ci si può perdere moralmente senza per questo perdere l’aplomb e il comfort e si può anche arrivare ad uccidere indossando una bella cravatta dopo aver visitato una bella mostra”, spiega il regista.
Ma secondo Rubini Colpo d’occhio ambisce ad essere anche “una storia lunare su due generazioni, su un uomo maturo che confligge con un giovane artista, su un maestro che ritiene di essere in una fase autunnale e su una strada calante e un allievo che vive una fase primaverile e ha tutta la vita davanti a sé. Ma anche un apologo sui maestri che possono diventare cattivi quando a muoverli non c’è la voglia di dare e di insegnare, ma solo una posizione da consolidare”.
Nel corso della vicenda si mostra come il critico ‘debba’ mantenere la sua posizione, l’artista ‘debba’ confermare il suo talento, ma anche come la giovane protagonista viva l’ambiguità di voler dar vita a una famiglia e di aspirare anche ad uno status sociale diverso, a una posizione professionale di rilievo. Il successo non significa solo diventare ricchi e famosi volgarmente, ma anche il riconoscimento del proprio talento – spiega Rubini – Il nostro intento è stato quello di riflettere su quanto si è disposti a fare per conseguirlo e se siamo pronti a tutto pur di essere riconosciuti. Anche se riteniamo di avere diritto alla fama, qual è il confine tra lecito e illecito, quanto è giusto prendere quelle scorciatoie che in Italia sono tanto di moda pur di arrivare? Il nostro aspira ad essere un film sulla visibilità in una società dove tutti vogliono essere artisti per essere visibili”.
Rubini ricorda infine che – analogamente a quanto fece qualche anno fa Francesco Clemente per la versione cinematografica di Grandi speranze di Dickens ambientata ai nostri giorni a New York da Alfonso Cuaron . l’artista Gianni Dessì, esponente di spicco della cosiddetta “Scuola di San Lorenzo”, ha prodotto appositamente per il film le opere realizzate dal protagonista, dopo essere stato un prezioso ‘consigliori’ per il regista e per gli sceneggiatori.
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