CANNES – Doveva essere uno degli eventi di punta di questo Festival, la presenza della terza, attesissima stagione del Twin Peaks di David Lynch, come evento speciale per i 70 anni di Cannes. E a 25 anni esatti di distanza da quel prodotto che, agli inizi degli anni novanta, sconvolse i canoni della serialità televisiva, proponendo una narrazione complessa e articolata e contribuendo anche a innescare il processo che avrebbe portato poi allo sviluppo che conosciamo oggi di questa peculiare forma di intrattenimento, con tutto quello che ne consegue anche in termini di distribuzione e fruizione (Netflix, eccetera).
Qualcosa però non è andato per il verso giusto. A pochi giorni dal Festival arriva infatti una notizia abbastanza insolita: non solo Lynch non tiene alcuna attività stampa – anche se c’è chi giura di averlo visto sulla Croisette, forse semplicemente per tastare il terreno e magari partecipare a qualche festa stasera – ma le due puntate di apertura della serie vengono presentate ben tre giorni dopo la messa in onda ufficiale la notte del 21 maggio su Sky Atlantic e Show Time. Con un’aggravante, tutta italiana: a causa di un errore, per circa sei ore, dall’alba sino a tarda mattinata dello stesso giorno, nel nostro paese i fan più “fortunati” hanno potuto vedere la serie on demand con quasi 24 ore d’anticipo. Il che ha rovinato in parte la suspense dell’attesa perché in rete sono fioccati i cosiddetti ‘spoiler’, ovvero le anticipazioni su quello che si sarebbe visto. Non è chiaro l’accaduto, qualcuno pensa addirittura a una mossa di marketing.
Qui al Festival chi proprio non voleva/poteva aspettare si è organizzato in maniera più o meno lecita per stare al passo: chi con l’abbonamento ufficiale – anche se dalla Francia usare un account italiano è complicato – chi affidandosi alla pirateria, una volta tanto, forse, in maniera parzialmente giustificabile. Oggi ad ogni modo la sala del Sessantesimo, non enorme e di solito gremita, oggi era agevolmente accessibile anche dagli accreditati con i colori del badge meno ‘potenti’, e questo, se da un lato ha reso quello che doveva essere un evento storico una proiezione come tante, ha permesso comunque una visione piacevole, senza file esagerate, con un ambiente confortevole e non troppo affollato, e comunque su uno schermo e con un impianto che rendono ben giustizia al talento visionario di Lynch, che tutto sommato ritroviamo intatto come se avessimo lasciato Laura Palmer e l’agente Cooper intrappolato nella Loggia Nera, mentre lo spirito maligno Bob prende possesso del suo corpo, poche sere fa.
Inutile spendersi troppo sulla trama, che non c’è, in senso stretto: Lynch lavora sempre più al limite della video-arte e a farla da padrone sono le atmosfere oniriche e inquietanti, i personaggi e le situazioni al confine con l’assurdo ma senza dimenticare delle sapienti pennellate di senso dell’umorismo. “Ognuno vedrà nella serie ciò che vuole”, ha detto il regista, e forse è sempre stato così, anche negli anni ’90, ma era la novità ad accalappiarci. Quello che si può dire è che – per fortuna – non si respira l’atmosfera del revival nostalgico, quanto più quella dell’aggiornamento. Con la volontà non solo concludere la storia che era rimasta in sospeso con la seconda stagione – e con la previsione della stessa Laura, o della sua gemella, in forma di spirito “ci rivedremo tra venticinque anni”, una chiusura talmente iconica da giustificare da sola l’esistenza, oggi, proprio a quella distanza di tempo, di questo tentativo – ma anche di portare avanti nuove visioni e nuove riflessioni. E il riconoscibilissimo tema musicale ‘mistery’ di Angelo Badalamenti strappa comunque un sentito applauso.
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