Kusturica, su Giordana no comment


Emir Kusturica, presidente della giuria della 58/a edizione del festival di Cannes è stato definito un “dittatore gentile” dagli altri membri della giuria e in particolare dall’attrice indiana Nandita Das e dalla regista Agnes Varda. Come aveva già annunciato nei giorni scorsi, il presidente Kusturica, nella tradizionale conferenza stampa dei giurati, il giorno dopo la premiazione, ha ribadito che “oggi la democrazia sta vivendo in tutto il mondo un grave momento di crisi. In particolare, il cinema richiede un lavoro anti-democratico perché c’è solo uno che dirige e gli altri eseguono. Mi diverte molto giocare ad impersonificare ruoli
diversi: quindi, anche qui a Cannes ho giocato molto a fare il dittatore. In realtà abbiamo lavorato bene e abbiamo scelto i vincitori della palmares in modo unanime. In questa edizione hanno vinto i film legati alla morale, al senso della giustizia e all’interiorità dei sentimenti. Ma la cosa più bella del festival, quella che ricorderò a lungo, è stata la festa di chiusura sulla spiaggia del Carlton, con tutti i vincitori, ma
soprattutto con le indimenticabili musiche di Amarcord di Federico Fellini”. Alla domanda su cosa ne pensasse dell’unico film italiano in concorso, Kusturica non ha risposto, ricordando invece che le due pellicole considerate innovative – Sin City di Rodriguez e Last Days di Gus Van Sant – non hanno ricevuto alcun premio per due motivi ben precisi: “il film di Van Sant – ha spiegato Kusturica – non è affatto innovativo, ma è uno stile che ricorda molto le atmosfere rarefatte di Michelangelo Antonioni. Mentre in Sin City la qualità cinematografica è inferiore a quella dei comics e dei cartoon”.
Molte critiche positive ha ricevuto da parte degli altri giurati presenti, tra i quali Toni Morrison, John Woo, Fatih Akin, Javier Barden, Salma Hayek e Benoit Jacquot, il film di Tommy Lee Jones, The Three Burials of Melquiades Estrada,
il solo a vincere due premi: per l’interpretazione maschile e per la sceneggiatura. Per l’attrice messicana Salma Hayek, la storia è incentrata “non solo sulla questione, raccontata in modo realistico e intenso, degli emigranti che dal Messico
vanno verso gli Stati Uniti. Ma è anche un racconto politico
e umano universale, nel tentativo di un uomo di difendere fino all’ultimo i desideri del suo amico e di pretendere una redenzione da parte dell’assassino”. Per la Morrison, “Lee Jones ha capovolto completamente l’idea del western e del West americano, inserendolo in una realtà più viva e presente”. La regista francese Varda ha poi rivelato di essersi battuta a lungo per far vincere il film francese Caché
di Haneke, “ma Kusturica è un adorabile tiranno e alla fine abbiamo optato per una pellicola, come quella dei Dardenne, che è allo stesso tempo artistica e capace di essere ben recepita dagli spettatori. Ho trovato estremamante solido e metaforico, rispetto alla situazione
attuale messicana, anche La battaglia nel cielo, ritenuto sulla Croisette il film scandalo di questa edizione”.
Se sono rimasti fuori dal palmares grandi autori come Lars von Trier, Cronenberg e Wenders, per Kusturica “non è un porblema, perché rimangono autori bravi e apprezzati anche da noi, ma la nostra giuria ha preferito scegliere diversamente. Allo stesso lodo, ci sarebbe piaciuto premiare tutte e tre le attrici di Free Zone, la Portman e la Abbass, ma ci sembrava più emblematico consegnare la Palma alla Laslo. Anch’io ho amato molto il film di Lee Jones: mi ricorda i miei sogni adolescenziali, quando amavo la musica americana e quella punk e quando immaginavo il Messico come uno dei più grandi e affascinanti spazi del pianeta. Anche No man’s land è stato un bel film che raccontava le probematiche dei Paesi di frontiera. Oggi la mia terra, la Jugoslavia, è isolata dal punto di vista politico”.
Il regista John Woo ha, infine, amato in modo particolare
Shanghai Dreams di Xiaoshuai che ha vinto il Premio della Giuria, perché “meglio di altri film cinesi presenti a Cannes, ha offerto un panorama politico importante di ciò che era la Cina negli anni Sessanta, quando le famiglie erano invitate ad abbandonare le città per popolare le campagne. E’ un film che ha avuto il coraggio di recuperare la storia della Cina”.

22 Maggio 2005

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