“E’ l’incapacità a raccontare il conflitto il problema del giovane cinema europeo, che vive oggi un momento di stasi e si limita spesso a seguire schemi che appartengono più alla televisione”. E’ questa la lezione che uno dei registi più autorevoli del cinema polacco, Krzysztof Zanussi, ha voluto lasciare agli studenti di cinema e televisione della Nuct di Roma. Perché i film che si limitano ad illustrare una storia senza mettere in scena il dramma, non potranno mai emozionare gli spettatori, né coinvolgerli. E non è l’evento tragico di per sé a creare il dramma, spiega il regista, ma piuttosto il conflitto scaturito da due forze contrapposte che si scontrano. “E’ il momento in cui la storia si decide e il protagonista ha ancora un’alternativa, che tiene lo spettatore incollato alla sedia. Il resto è solo un linguaggio da telenovela”.
E un pensiero va anche alla questione del digitale e dell’utilizzo delle nuove tecnologie: “L’importante è riuscire ad emozionare, la tecnica deve solo essere uno strumento. Non bisogna mai lasciarsi troppo affascinare né perdere tempo dietro questioni inutili come il digitale o il 3D”.
Lo spettatore, spiega Zanussi, è un po’ come un bambino che vuole giocare a nascondino e che ha più soddisfazione nel sentire di aver scoperto qualcosa che doveva rimanere segreto: “Non bisogna spiegare le cose, ma imparare a nasconderle”. E naturalmente non tutte le storie hanno la forza di essere raccontate: “Occorre sempre cercare il senso, siamo saturati da una quantità enorme di informazioni e solo ciò che contiene un messaggio riesce ad interessare”, ha spiegato il regista che spesso nei suoi film ha ricercato il significato individuale dell’esistenza.
A vent’anni dalla notte più lunga di Berlino, quando il regime comunista tedesco crollò insieme ai 155 chilometri di Muro che aveva costruito, il regista parla a CinecittàNews della Polonia di quel periodo e di ciò che è diventata oggi. Ma prima di salutare gli studenti, Zanussi ha invitato tutti nella sua casa a Varsavia, dove da anni ospita allievi provenienti dalle tantissime scuole di cinema in cui insegna.
Stasera un domino gigante allineato lungo i 1200 metri che separano il checkpoint Charlie dal Reichstag, dove fino al 1989 correva il Muro, riproporrà la caduta di quello storico 9 novembre. E a dare inizio al crollo dei mattoncini sarà proprio una spinta di Lech Walesa.
Noi polacchi siamo un po’ gelosi perché non abbiamo un simbolo della caduta del regime comunista forte quanto quello del Muro. Eppure il crollo era cominciato proprio in Polonia e ben sei mesi prima. Berlino fu solo l’atto finale. Avremmo voluto appartenesse a noi la gloria dei primi, ma quale miglior rappresentazione potrebbe esserci oggi, se non un domino innescato dall’uomo simbolo di Solidarnosc?
La Polonia di oggi è diventata quella che immaginavate vent’anni fa?
Se si pensa che attualmente il numero degli studenti si è triplicato e il tenore di vita quadruplicato, non si può che guardare al crollo del regime come a un fatto estremamente positivo. Certo, tutto ciò ha portato anche allo sviluppo di contrasti sociali e corruzione ma, malgrado tutto, la Polonia è ad oggi l’unico paese che non ha subìto la recessione e che ha fatto enormi passi in avanti, verso i valori civili. Siamo, ad esempio, la quinta nazione al mondo per quanto riguarda l’assistenza ai malati terminali. E questo è una testimonianza esemplare di civiltà.
Un film come “Popiełuszko”, che parla del cappellano di Solidarnosc, sta avendo in Polonia un grande successo, anche tra le giovani generazioni. Qual è il loro rapporto con il passato e con la religione?
Non c’è rottura tra le giovani generazioni e il loro passato. Solo intorno all’inizio degli anni ’90 i giovani sembravano quasi ubriacati dalla conquistata libertà. Ora hanno fatto i conti con ciò che è stato e la spiritualità, anche se è totalmente uscita dalla politica, è tornata a far parte del loro quotidiano come valore importante.
Lei è nato da una famiglia di origine friulana emigrata in Polonia per costruire le ferrovie.
Sono molto legato alle mie origini italiane, anche se non ho mai vissuto in Italia. E questo legame ha avuto certamente un influsso sulla mia formazione. In questo momento sto valutando un progetto, da poco sottoposto alla mia attenzione, riguardo a un film-documentario che parla della diaspora dei friulani nel mondo.
A quali altri progetti sta lavorando?
Sta per uscire l’edizione italiana del mio libro “Tempo di morire”. Volume edito dalla Spirali Editrice che racconta aneddoti legati ai miei film e a tutti gli incontri che ho avuto con attori e personaggi politici. C’è anche una mia foto con Sophia Loren, che ho appena incontrato a Cinecittà. Sto inoltre lavorando ad un film sulla questione femminile. Sarà una pellicola in difesa delle donne, forse di coproduzione italiana, e tra le protagoniste vorrei ci fosse la bravissima Elisabetta Pozzi.
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