Dopo la sfortunata parentesi italiana con Il sole nero, Krzysztof Zanussi, quasi settantenne ma in piena attività, torna con una black comedy, che il Festival di Roma propone tra le Anteprime. Con il cuore in mano, storia di un arrogante nuovo ricco che, affetto da una grave patologia cardiaca, non va tanto per il sottile nel cercare un donatore per quel trapianto che potrebbe salvargli la vita. Individuato il cuore ideale in quello di un giovanotto aspirante suicida, fa di tutto per convincerlo a portare a termine il suo insano progetto. “Ogni epoca ha i suoi cattivi. I vecchi cattivi sono andati in pensione e con la libertà è apparsa una nuova forma di cattiveria, gratuita”, dice il regista polacco. Che ha usato stavolta il linguaggio della commedia per parlare, come al solito, di dilemmi morali e politici. “Prendo in giro il mio nemico di sempre, il nichilismo che sta distruggendo il mondo. Oggi ci sono contrasti molto forti, un po’ come negli Stati Uniti all’inizio del secolo scorso. Dominano l’euforia del cattivo gusto e della ricchezza”.
Primo frutto di un accordo di coproduzione tra Polonia e Ucraina siglato nel febbraio di quest’anno, il film, che non ha ancora un distributore italiano, è interpretato da Bohdan Stupka, uno dei più grandi attori ucraini, ex ministro della Cultura del suo Paese e grande sostenitore dell’uso della lingua ucraina, mentre il coprotagonista è il giovane Marek Kudelko, da poco uscito dall’Accademia d’arte drammatica. Zanussi arriva al festival direttamente dalla Siberia, con un massacrante volo di otto ore e riparte quasi subito. “Domani a Novosibirsk c’è la prima di un mio spettacolo teatrale, in cui si immagina l’incontro tra Eleonora Duse e Sarah Bernhardt, è una riflessione sul successo scritta da un giovane autore americano. Bisogna pensare che queste due attrici, alla loro epoca, erano delle vere popstar, conosciute da tutti. Come oggi Madonna”.
“Con il cuore in mano” si discosta dal suo stile consueto per tentare la strada della commedia. Com’è stato accolto in Polonia?
Al pubblico, soprattutto giovane, è piaciuto molto, mentre la reazione della critica è stata devastante, non hanno capito l’ironia. Ma io ho voglia di ridere, la risata è l’ultima difesa in un mondo tanto corrotto.
Lei mette a confronto due personaggi di generazioni diverse: un giovane e un sessantenne.
I giovani dell’ultima generazione mi danno molto speranza, ritengo che abbiano un buon equilibrio tra valori materiali e spirituali e credo che siano in grado di affrontare la crisi attuale. Mentre quelli della generazione precedente, quelli che hanno conquistato la libertà, li considero degli sradicati oltretutto contenti di esserlo.
In questo film se la prende soprattutto col nichilismo. Sembra considerarlo addirittura un male peggiore del marxismo.
Il marxismo aveva i suoi meriti, anche se come ideologia della dittatura è stato pernicioso. Il postmodernismo, invece, conduce al nichilismo in modo frivolo e irresponsabile. Mentre gli esistenzialisti alla Camus soffrivano veramente, oggi si dicono le stesse cose con un sorriso assurdo sulle labbra.
Sembra che il nuovo papa abbia una presa minore sui giovani rispetto a Giovanni Paolo II.
Mi sembra che Ratzinger prosegua sulla strada di Papa Wojtyla. Certo, ci sono delle differenze di approccio e di temperamento. Giovanni Paolo II aveva più comunicativa, Benedetto XVI è un teologo, più vicino agli intellettuali e agli accademici. Ma questa è la ricchezza della Chiesa di oggi, ogni papa è diverso.
Lei sembra molto attratto dal tema dell’oligarchia.
Trovo sempre molto interessante il passaggio dalla povertà alla ricchezza, dall’anonimato al potere. Nei paesi poco strutturati gli straricchi possono permettersi qualsiasi cosa.
E poi la dittatura mi è sempre sembrato un argomento attraente.
Che bilancio fa della nuova Polonia post-comunista.
Il capitalismo mi sembra più umano del socialismo, almeno su alcune cose fondamentali: i malati sono trattati meglio, si studia molto di più.
Sta lavorando molto anche a teatro.
E’ vero. A Varsavia, a novembre, andrà in scena “Romolo il Grande” di Durrenmatt, una cosa cattivissima sulla dissoluzione totale di una civiltà, l’impero romano, che parla molto dell’oggi. Poi a maggio al Teatro di Siracusa debutto con “Medea”, la protagonista è Elisabetta Pozzi.
E al cinema?
Al cinema porterò finalmente la biografia di Edvige d’Angiò, la bellissima che fu regina di Polonia dal 1384 e divenne anche santa. Finora la televisione polacca non l’aveva voluta produrre perché la mia sceneggiatura non era abbastanza didattica, ma adesso sono riuscito a trovare capitali ungheresi, polacchi e austriaci e spero che ci saranno anche gli italiani, visto che Edvige era d’origine napoletana. Accettò di sposare il principe di Lituania, Ladislao II Iagellone, che in cambio promise di convertirsi assieme al suo popolo al cristianesimo e s’impegnò a unire, con l’Atto di Kreva, la Lituania alla Polonia. Alcuni bigotti pensano possa venirne fuori un film troppo poco cattolico, per me invece si sbagliano. Edvige è per me un simbolo di sacrificio e grande fede.
L’ha delusa l’accoglienza riservata al suo penultimo film, “Il sole nero”?
In Italia non è stato molto compreso, ma in Russia sta andando molto bene e tra due mesi uscirà anche in Polonia. Vedremo.
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