VENEZIA – Fra gli ospiti più importanti alla tredicesima edizione del Ca’ Foscari Film Festival, Koreeda Hirozaku che si è collegato dal Giappone per parlare della sua autobiografia Pensieri dal set, recentemente tradotta in italiano nell’edizione a cura di Francesco Vitucci edita da Cue Press.
È stato proprio Vitucci a instaurare un dialogo con il regista giapponese dal palco dell’Auditorium Santa Margherita, ripercorrendo la lunga carriera del cineasta.
Koreeda esordisce inizialmente nel documentario di cui mantiene il minimalismo e il realismo della messa in scena e attraverso il quale affronta una serie di tematiche ricorrenti, allo stesso tempo particolari e universali, quali la memoria, la famiglia non convenzionale e l’innocenza dei bambini. A partire dall’esordio con Maborosi nel 1995, presentato e premiato a Venezia, ha girato una serie di film acclamati dalla critica internazionale e presentati nei più prestigiosi festival cinematografici come Nessuno lo sa, Still Walking, Air Doll e il recente Broker. Ha inoltre vinto numerosi premi, fra i quali è impossibile non citare la Palma d’oro a Cannes nel 2018 per Un affare di famiglia, anche candidato agli Oscar, e il premio della giuria sempre a Cannes per Like Father, Like Son.
Durante l’incontro si è parlato non solo dell’uscita italiana del libro, ma anche della sua visione del cinema, delle influenze e delle sue esperienze all’estero. Iniziando proprio da queste ultime, Koreeda ha parlato del profondo legame con l’Italia: “Il mio debutto sul palcoscenico internazionale è avvenuto proprio al festival di Venezia con una grande occasione che mi è arrivata su consiglio di un collega”, aggiungendo come il suo pensiero torni spesso al nostro paese. Il regista ha inoltre fatto notare come spesso sia stato piacevolmente sorpreso dalle interpretazioni che i suoi film ricevevano da parte del pubblico internazionale, perché diventa così in grado di riscoprire le sue opere attraverso gli occhi degli altri, trovandovi elementi a cui non aveva inizialmente pensato.
Il cineasta si augura comunque che, a prescindere dalla loro interpretazione, i suoi film siano in grado di stimolare qualcosa nelle coscienze degli spettatori e creare una sorta di reazione a catena che possa ripercuotersi positivamente sulla società.
Impossibile non parlare poi del ruolo che ricopre la famiglia nel Giappone contemporaneo, una delle tematiche principali del suo cinema. Koreeda ha ricordato come la bassa natalità stia portando velocemente la popolazione giapponese a un grave calo demografico, con individui che spesso non si sposano, portando quindi a una situazione molto diversa rispetto a quella in cui lui è cresciuto. Inoltre, nonostante nei suoi film rappresenti spesso tipi differenti di famiglia, quasi mai legati da legami di sangue, ha fatto notare come questi nuovi modelli non vengano ancora riconosciuti dallo Stato come, per esempio, le coppie dello stesso sesso. Ha parlato poi di come la sua visione dei rapporti familiari derivi anche dalla nascita di sua figlia che lo ha portato a domandarsi quali siano gli elementi che uniscano davvero le persone e se ci sia davvero la necessità di un legame di sangue per la creazione di una famiglia ed è anche per questo che rappresenta nei suoi film una famiglia di carattere non tradizionale.
Koreeda ha anche discusso il delicato tema della libertà d’informazione in Giappone, affermando: “Non solo si sta portando avanti in parlamento la discussione di una nuova legge sui media, ma anche i giornalisti dei canali televisivi più importanti subiscono senza accorgersene pressioni politiche per evitare di parlare di determinati temi e quindi estraniarli dalla società”.
Infine, Koreeda ha discusso della difficoltà di lavorare in paesi diversi ma anche della straordinarietà di poter interfacciarsi con persone che hanno un vissuto molto diverso dal suo e ha concluso affermando: “Anche se ho appena compiuto sessant’anni, ho capito che posso ancora dare molto al cinema e allo stesso tempo che il cinema può dare moltissimo a me”.
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