“Kinshasa Kids”, la musica che vince su stregoneria e violenza


VENEZIA – E’ un oggetto filmico sorprendente, un po’ documentario e un po’ finzione, il film di Marc-Henri Wajnberg Kinshasa Kids, visto ai Venice Days. Sguardi in macchina, poliziotti che chiedono di spegnere la telecamera, pezzi di verità di strada congolese, con gli shegués (i bimbi reietti perché accusati di stregoneria) e la violenza indistinta, la corruzione, i furti, la miseria, ma anche la gioia della musica che risuona ovunque, pronta a dare una speranza. Senza, però, la consequenzialità narrativa che “tradisce” il racconto di finzione.

 

“Tutto è iniziato – ha raccontato il regista a Cinecittà News – quando decisi di girare un documentario sulla musica in Congo. Quando arrivai a Kinshasa subii uno shock per le ingiustizie che subivano i ragazzini di strada, ma nello stesso per l’energia e la gioia della musica onnipresente. Decisi quindi di cambiare progetto e fare un film che mettesse insieme tutto, scrivendo una sceneggiatura che lasciasse spazio alle incursioni e agli imprevisti”. Alla fine, confessa Wajnberg, solo 3 scene sono documentarie, “il resto è stato tutto preparato e girato con questi bambini che selezionai tra decine una delle tante volte che sono andato a Kinshasa. Sono veri shegué, di cui ho conquistato la fiducia spiegando loro il meccanismo del cinema. Poi ho affittato una grande casa, pagato un cuoco e un insegnante, e mentre giravamo si viveva tutti insieme. Ora sono cambiati, non si vergognano più della loro condizione, camminano a testa alta”.

 

Tutti i volti che scorrono nelle immagini sono di uomini, donne e bambini “veri”, dunque, incontrati per le strade di Kinshasa: “Solo i poliziotti sono attori professionisti: era impossibile usare quelli veri che campano, più che con lo stipendio, con l’estorsione di denaro ai malcapitati che fermano”. Wajnberg era sempre l’unico bianco in giro per la città, il che lo esponeva a rischi ancora maggiori. In un paese in cui, ai circa 30mila bambini accusati di stregoneria la famiglia è capace di mettere il peperoncino negli occhi, provocare ustioni, legarli, infliggere torture di ogni tipo e poi abbandonarli in strada alla mercé di violentatori e aggressori. Kinshasa Kids è “un modo per denunciare questa situazione che si conosce troppo poco – aggiunge il cineasta – ma anche per dare un segnale di speranza, con questi bambini che si organizzano per creare una band e alla fine suonano con un bravissimo rapper locale. E la speranza sto cercando di darla anche fuori dallo schermo, seguendo i protagonisti del film nel loro destino e cercando di aiutarli ad andare a scuola, anche se in Congo è difficilissimo anche questo”.

autore
02 Settembre 2012

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