Brado è “un film che ha un telaio di genere (western), salvo poi disattendere il classico: è il genere in presa sportiva. Un film di genere mi cattura quando ha uno scavo psicologico, filosofico. Penso che il genere sia un buon veicolo per parlare di cose capitali come il rapporto padre-figlio, che esiste sin dall’inizio della Storia dell’uomo. C’è il complesso di Edipo, la visione edipica del padre, che pone un fardello sulle spalle del figlio, un fardello scomodo, che obbliga te figlio a trovare una modalità di libertà. Qui, si coltiva una violenza simbolica che il padre gli ha messo sulle spalle: Brado è una storia di liberazione e guarigione”, parola, quest’ultima, non secondaria nella terza opera da regista per il grande schermo di Kim Rossi Stuart, infatti il film è adattato dal libro di cui è autore, Le guarigioni (La nave di Teseo).
Renato (Kim Rossi Stuart) – padre di Tommaso (Saul Nanni) – è una brado, concetto che incarna uno stato dell’anima, come “brado è il cavallo, brando è il ranch – in cui l’uomo vive, un po’ arruffato, arrangiato, disordinato, e in cui il figlio lo raggiunge, in cui si cercano di domare a vicenda in fondo, domando intanto Trevor, un equino anch’esso brado, ndr -, l’educazione a cui è stato sottoposto il figlio è selvaggia”, tema per cui “è significava la battuta: ‘tu non sei Dio, che puoi decidere della vita e della morte’ detta a lui da Tommaso”.
“I due lottano, si ‘scaricano vicendevolmente addosso’ valanghe di letame, ma entrambi lottano per ritrovare la tenerezza; il tirante di tutto il film è lo sguardo del padre che ha in braccio il suo fagottino appena nato. Il mio primo film (Anche libero va bene, 2006), era sul cuore; il secondo (Tommaso, 2016) sul cervello; questo invece è sui polmoni: nella sceneggiatura, la storia coagula il tema dell’alito della creazione dell’uomo, un respiro fondamentale, che ricorre nei cuccioli di cane, ricorre nell’hackamore, imboccatura per il cavallo, ricorre nella scena del padre intubato in ospedale” sequenza in cui “il figlio riconosce la propria identità, diversa da quella del padre” ed è proprio qui che la scelta di Tommaso, l’azione non razionale, in bilico tra morte e vita, vita e morte, “consente a entrambi uno sguardo che sa di eternità, che viceversa non sarebbe avvenuto”, continua l’autore, che aggiunge: “La mia stella polare è quando la realtà si impossessa della finzione: è magia”. Nella sequenza in questione, in particolate “non c’è nulla di ideologico, è una questione intima: c’è un momento in cui il genere viene tradito per tre minuti, tosti, molto tosti, così come succede nella vita, in cui esiste la possibilità di accogliere le cose meno piacevoli, prassi attraverso cui c’è una rinascita”.
Brado è un film di confine e che sconfina da perimetri di perbenismo, questo nella scelta di una visione campestre di certo selvatica, quanto spesso poetica, in cui la Natura, non solo quella dell’istinto – umano o animale che sia, poco importa – ma proprio quello della Madre Terra o della Volta Celeste sono imprescindibili; in questa storia si sconfina perché “c’è sempre qualcuno che vuole crescere, superare i propri limiti, le proprie catene: qui ci sono un figlio e un padre che vogliono conquistare la loro unione”, quell’unione viscerale che Renato ha stabilito con Tommaso e con Viola, la figlia (Federica Pocaterra), dopo una rottura sentimentale mai in fondo cicatrizzata e decisamente ancora rabbiosa verso la ex moglie Stefania, Barbora Bobulova, che Rossi Stuart racconta come “un motore fondamentale, che mi ha regalato cose così importanti nel mio primo film e che qui, seppur con un un personaggio più circoscritto, mi ha donato generosità”.
Le parole sempre pacate ma consapevoli e affatto retoriche di Rossi Staurt si spendono soprattutto per il suo cast di giovani attori, tra cui Anna – Viola Sofia Betti, non attrice, dunque al suo debutto seppur non sia il mestiere che desideri, che “con la sua mole di insicurezze e tirannie, e molto severa con se stessa, mi ha aiutato nell’offrirsi in maniera grezza e malleabile, facendosi portare e restituendo un grande cinema. Lei è un’amazzone adattata alla recitazione”.
E poi c’è Tommaso, sullo schermo un volto che senza grande fatica specchia in estetica, ma anche nelle pieghe dell’intensità e nelle mimiche più delicate, quelle “di suo padre”, e di cui Rossi Stuart dice: “Saul nel suo vissuto personale ha un background di serenità e ha quindi dovuto scavare in sé per l’acredine del personaggio: è stato stoico. S’è creato qualcosa di eccezionale: sono i giovani le colonne portanti, sono sorprendenti, sensibili. Saul propone un Kim che l’ha accompagnato per mano: i confini si sono davvero persi, mi commuove, è mio padre, è il regista, è mio figlio”.
Un figlio che, nella vita vera, è anche Kim Rossi Stuart di Giacomo, suo papà, a cui dedica espressamente il film: “lui è stato un padre bravo a regalarmi l’autonomia: per me, padre oggi, è uno spunto di riflessione molto utile, perché far stare i figli in un brodo di giuggiole è un problema”.
Per Nanni, “Kim mi ha dato la fiducia di un ruolo pieno di vita: Tommaso è stato reso uomo fin da piccolo, pronto alla vita. È consapevole di un amore viscerale ma perduto perché coperto da una rabbia forte: doveva esserci la possibilità di rispolveralo”.
Dulcis in fundo, ma non certo ultimo, protagonista e chiave di volta di Brado è Trevor, il cavallo che chiama Tommaso al ranch, che stringe le maglie della dinamica affettiva col padre, che è causa scatenante di riflessioni etiche e sulla natura delle cose, e la scelta di un animale come il cavallo, “è partita dalla voglia di raccontare un’ambientazione: nella genesi del progetto mi emozionava far vivere allo spettatore cose da me vissute in gioventù: l’emozione orgasmica di una galoppata, il confronto con qualcosa di atavico e selvaggio”, spiega ancora il regista.
Brado è sceneggiato da Rossi Stuart con Massimo Gaudioso, “che in sceneggiatura ha trovato la formula strutturale, un passaggio capitale. Penso sia uno sceneggiatore che nella mia esperienza abbia dato una botta che va oltre gli schemi, che ha a che fare con il colpo di genio”; Brado è prodotto da Palomar, per cui Carlo Degli Esposti dice: “Ho sempre creduto in Kim e il suo esordio alla regia è stato uno dei più importanti per noi. Qui, però, c’è stato anche un grande scontro: io non ho mai recitato, per cui ho resistito un anno e lì s’è vista la caparbietà di Kim: alla fine ho dovuto cedere e in un film perfetto sono l’unica macchia di grasso”, referendosi a sé che partecipa con un piccolo ruolo. Brado, per il produttore, “è un film che consacra la struttura forte della regia di Kim”.
Il film esce #soloalcinema dal 20 ottobre con Vision Distribution, per cui Massimiliano Orfei dichiara: “l’uscita in sala oggi comporta una piccola dose di eroismo: saremo con la lancia in resta per sfidare il mercato”.
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