Kim Rossi Stuart


Bello e quasi impossibile. Voce lenta e uniforme. Le parole che pronuncia sono quelle di uno che pensa prima di parlare. Lo sguardo è azzurrino, liquido. Con la barbetta da asceta somiglia ancora al Gesù-Jehoshua dei Giardini dell’Eden di Alessandro D’Alatri. O a un frate francescano, se si vuole.
Kim Rossi Stuart, (guarda il sito ufficiale, ospite del Giffoni Film Festival, parla di teatro, di cinema, di televisione. E di Taricone. Taricone? Sì. Non è una sua scelta ma a domanda, risponde.

Come vede l’ingresso nel cinema di personalità come quella di Taricone, personaggi istintivi, arrivati allo star system per caso?
Il cinema copre estremi impensabili. Taricone può fare una bellissima cosa oppure una cosa mediocre. Ma non voglio giudicare “attori” come lui. Ho scelto una strada diversa.

La sua strada sembra una di quelle vie di collina in cui non passano molte auto, ma dove il panorama è più interessante.
Lei è stato il protagonista perduto nella propria solitudine di Senza pelle, il delinquente borgataro, ansiogeno, dal difficile equilibrio interiore di Cuore cattivo, il profeta di Giardini dell’Eden. Poi, dopo La ballata del lavavetri nel ’98, al cinema più niente. Che cosa è successo?

Mi sono dedicato al teatro. E ci sono personaggi come Amleto, come Macbeth, che non ti lasciano più in pace, che non vanno via dalla pelle. Questi personaggi coincidono con percorsi di conoscenza interiore. Con Macbeth ho scoperto una figura complessa, il cui dramma vero è quello di non sentirsi mai abbastanza. Non è soltanto ambizione: è qualche cosa di più. E’ il sentimento di non raggiungere mai la pienezza del vivere. Qualcosa che viviamo tutti, no?
Amleto è una cosa diversa: non è solo il dubbio. E’ la tragedia di un uomo che cerca sempre di dire la verità, soprattutto a se stesso.
Entrambi mi hanno dato la possibilità di guardare dentro di me in modo diverso. Per questo sono grato al teatro, e a questi personaggi. Il successo? Il successo, se viene, fa piacere. Ma non è quello che conta.
Però lei ha una faccia di quelle che piacciono, un seguito e un carisma superiori a tanti suoi colleghi…
So che in questo mestiere la fisicità conta, e comunque tutti dobbiamo accettare la nostra fisicità. Ma se dovessi solo guardarmi allo specchio, e pensassi al successo, la mia storia finirebbe presto.

Che cosa ci dice dell’esperienza televisiva?
In Uno bianca, fiction tv in due parti, interpretavo un poliziotto che perseguiva una vendetta personale contro la banda che le cronache italiane hanno reso nota.
Sono contrario alla televisione fatta un tanto al chilo e al lavoro serializzato. Ma l’esperimento con Michele Soavi era un’altra cosa. Era sempre televisione, ma con una cura per il dettaglio che l’avvicinava alla libertà poetica del cinema.

E adesso?
Adesso ho nostalgia del cinema, il cinema vero, quello che si fa sul set.
Ho due progetti: uno al quale tengo moltissimo, perché è mio. Ho scritto un soggetto, sto mettendo insieme la produzione e potrei anche essere tentato dall’avventura della regia.
Ma per ora non posso dire di più.
Il secondo progetto è un film con Enzo Monteleone: anche questo deve ancora crescere e maturare.

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20 Luglio 2001

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