VENEZIA – “Le sette ombre sono sette maschere che rappresentano diverse forme di violenza che il sistema esercita sulle persone. Con One on One invito i sud-coreani a chiedersi chi siano, quale sia il loro posto in società e se sia necessario reagire”. Il ventesimo e – finora – ultimo film di Kim Ki-Duk, che ha aperto oggi le Giornate degli Autori indossando una maglietta che invoca verità sulla tragedia del traghetto Sewol, è l’opera più esplicitamente politica del cineasta coreano, che l’anno scorso portò al Lido Moebius, film per molti versi estremo sulla violenza interna alla famiglia. Con One on One il regista cambia passo e impregna – di nuovo – i suoi fotogrammi di corpi martoriati e scene di sesso per puntare il dito contro la corruzione e i mali del suo Paese raccontando la storia di una liceale (simbolo della democrazia) che viene uccisa da sette assassini, che poi a loro volta saranno cercati e torturati da altrettante “Ombre”: sei uomini e una donna in passato vittime di ingiustizie che ora compiono la loro vendetta mascherati con uniformi. In una infinita e insopportabile spirale di violenza, dalla struttura ciclica e ripetitiva, che trasforma le vittime in carnefici e viceversa, denunciando attraverso massicce dosi di brutalità i maltrattamenti domestici verso le donne e gli abusi di potere, la disoccupazione e il malaffare. Ma senza rinunciare al gusto per l’ironia caro a Kim Ki-Duk, che fa dire a uno dei personaggi “Il nostro è un paese di merda, ma certo non quanto la Corea del Nord”.
Questo film è più esplicitamente politico dei suoi precedenti. Perché ha sentito l’esigenza di questa denuncia?
Perché sono scioccato ogni giorno dal vivere in Corea, un Paese in cui la corruzione è considerata un’abilità. Volevo descrivere alcuni problemi della società e capire attraverso il film se viviamo in una società che considera preziose le persone che la compongono, e le tratta con rispetto e amore, oppure se siamo legati da rapporti di natura diversa. Tutti stanno dicendo che One on One è completamente diverso dai film che ho fatto finora, ma è vero solo in parte. I temi, l’ambientazione e la struttura narrativa sono diversi, ma c’è una domanda fondamentale alla base di tutto – chi siamo? – che lo pone in continuità con tutto il mio cinema.
È anche un film molto più parlato rispetto a quanto ci ha abituato. E’ un modo per andare incontro al pubblico?
Ho fatto film senza dialoghi, come Ferro 3 e Moebius ma, ad esempio, ci sono molte parole in Pietà. Dipende semplicemente dalla natura del film e dai suoi contenuti.
One on One è stato girato in soli 10 giorni, perché?
Perché è un film a basso budget che ha portato con sé tempi veloci di realizzazione. Dietro la macchina da presa mi sono mosso molto velocemente con gli attori per girare più scene possibili e avere molto materiale a disposizione al montaggio, ma prima dell’inizio delle riprese ho fatto tre letture con tutti gli attori, che sono arrivati sul set preparati per questo lavoro così rapido.
Nel film ci sono solo due donne: quella che viene uccisa all’inizio e una delle Ombre. Perché?
Tradizionalmente la presenza delle donne nella società coreana è sempre stata molto limitata, le donne sono state grandi vittime della società del mio Paese e hanno sempre avuto molto poco peso, le loro voci non sono state quasi mai ascoltate. Probabilmente mi sono trovato a esprimere questo inconsapevolmente.
La riflessione morale e filosofica sulle vittime che diventano carnefici e viceversa lascia pensare a una dimensione politica che travalica i confini della Corea ed è anche molto attuale, con il Papa che ha appena detto che siamo nel pieno di una Terza Guerra Mondiale a pezzi…
Quando è stato in Corea il Papa si è espresso tra l’altro sul grande divario tra ricchi e poveri, con i primi che diventano sempre più ricchi e i secondi sempre più numerosi e sempre più poveri. Ha parlato della guerra economica in atto e della supremazia del denaro, a cui dobbiamo ribellarci. One on One è stato interpretato, giustamente, come un film politico, ma ha come scopo anche la critica del sistema capitalistico che mette il denaro davanti a tutto e diventa l’unico elemento che regola i rapporti tra gli esseri umani. Bisogna ritrovare la centralità dell’essere umano nella nostra vita, tra le persone e le nazioni.
"Una pellicola schietta e a tratti brutale - si legge nella motivazione - che proietta lo spettatore in un dramma spesso ignorato: quello dei bambini soldato, derubati della propria infanzia e umanità"
"Non è assolutamente un mio pensiero che non ci si possa permettere in Italia due grandi Festival Internazionali come quelli di Venezia e di Roma. Anzi credo proprio che la moltiplicazione porti a un arricchimento. Ma è chiaro che una riflessione sulla valorizzazione e sulla diversa caratterizzazione degli appuntamenti cinematografici internazionali in Italia sia doverosa. È necessario fare sistema ed esprimere quali sono le necessità di settore al fine di valorizzare il cinema a livello internazionale"
“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema. A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all'Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori, da Francesco Munzi e Saverio Costanzo a Ivano De Matteo, che al Lido hanno trovato un ottimo trampolino
Una precisazione di Francesca Cima
I due registi tra i protagonisti della 71a Mostra che prenderanno parte al dibattito organizzato dai critici alla Casa del Cinema il 25 settembre