Preparatevi alla tempesta. Da Kenneth Branagh, il regista-attore-produttore britannico famoso per le sue riduzioni delle opere shakespeariane, una versione filmica della celebre commedia ce la potremmo aspettare. Ma la pellicola di cui parliamo è di tutt’altra sostanza. Si tratta di Thor, cine-comic tratto da un fumetto Marvel a sua volta ispirato al dio del tuono dei miti nordici, che scaglierà il suo martello incantato nelle sale italiane il 27 aprile, in 3D, con una settimana di anticipo e in circa 600 copie per Universal. A dar volto e fisico prestante all’eroe vichingo il poco conosciuto Chris Hemsworth, che assieme al regista ha presentato il film a Roma. A lui si affiancano, tra gli altri, Sir Anthony Hopkins nel ruolo di Odino e il premio Oscar Natalie Portman in quello dell’amata del protagonista. Ma come se la caverà Branagh in questa svolta inedita della sua carriera, fino a oggi interamente svoltasi sotto l’egida di una elegante autorialità?
Si tratta del suo primo blockbuster, in cui la sfida è conciliare il classico dell’ambientazione epica con la modernità dei fumetti di super-eroi. Cosa l’ha spinta ad accettare il progetto e come ha affrontato il lavoro?
E’ una storia classica, soprattutto. Ne ho immediatamente amato il potenziale passionale e spettacolare. Sapevo che ne sarebbe venuto fuori un film pieno d’azione, ma ho cercato di trovare il giusto equilibrio seguendo le indicazioni della Marvel, che lo voleva sì leggero, ma anche ricco e strutturato. Sapevano che era il progetto più difficile del loro lotto, quello con più probabilità di fallire…
Così hanno scelto di affidarlo a un regista di conclamata esperienza. Ma quanto hanno influito sulla sua libertà artistica? I film sui super-eroi Marvel sono tutti legati l’uno all’altro e presto Thor, Iron Man e Hulk faranno team nel progetto The Avengers…
Non è stato un problema. Sapevo in cosa mi stavo infilando quando ho accettato. Mi hanno dato delle indicazioni e chiesto di inserire degli elementi, sulla base della sceneggiatura di Straczynski che è anche uno degli autori di punta del fumetto, ma non ho ricevuto imposizioni. Personalmente non ho dato gran peso alla cosa, non ho visto i giocattoli, non sono stato dietro alle mille declinazioni del Marvel Universe. Avevo già il mondo di Thor su cui concentrarmi che, di suo, è parecchio variegato. Quello che mi piace della Marvel è che, rispetto ad altri complessi hollywodiani, è uno studio relativamente piccolo, gestito da poche persone appassionate ed entusiaste, che respirano fumetti dalla mattina alla sera. Sì, credo che potremmo definirli dei ‘nerd’, in senso buono. Sono loro stessi a parlare così di se stessi. Abbiamo avuto vivaci discussioni ma tutte incentrate su come rendere il film al meglio, mai sui soldi. Riguardo a The Avengers, però, non posso dirvi molto, senza poi essere costretto a uccidervi. So che Chris inizierà a girarlo già dopo aver terminato il tour promozionale di Thor, ma lo dirigerà un altro regista.
Cosa ci dice del 3D? Per lei è la prima volta…
Ho chiesto subito alla Marvel perché volessero realizzare la pellicola in stereoscopia. “Se lo fate solo per i soldi, il pubblico, che è intelligente, se ne accorgerà”. Ma la risposta è stata altrettanto intelligente. Mi hanno detto che a loro interessava investire sull’effetto per amplificare le emozioni e usarlo come strumento narrativo, sia nelle scene ambientate ad Asgard, il mondo da cui Thor proviene, che in quelle sulla Terra. Ovviamente, sono molto orgoglioso anche della versione bidimensionale, che ci guadagna in luminosità, ma il meglio dell’esperienza il pubblico potrà trarlo da una visione in una sala attrezzata per le tre dimensioni, magari in formato IMAX.
A proposito di questo, lei ha dichiarato di andare molto spesso al cinema. Cosa le piace guardare?
E’ vero, ci vado almeno due volte a settimana e mi piacciono tutti i generi, non importa se siano grandi kolossal o piccole produzioni. Mi piace andarci nel week-end in cui il film esce, stare in mezzo a tanta gente, condividere l’esperienza della sala buia con gli altri. Anche in Thor si vede quanto i miei gusti siano eterogenei: ci sono dentro Metropolis, 2001: Odissea nello spazio, Lawrence d’Arabia, un po’ di western… e anche a livello scenografico siamo passati dall’architettura moderna alle chiese norvegesi alle pitture rupestri.
Come avete lavorato sul linguaggio? Nei fumetti Thor parla con un tono solenne usando espressioni antiquate, molto difficile da riprodurre al cinema restando credibili.
Infatti. Volevo mantenere questa caratteristica ma senza appesantirla. Il creatore di Thor, Stan Lee, dice che nei comics lui deve parlare sempre una via di mezzo tra Shakespeare e la Bibbia. Chris ha fatto un grande lavoro: per farlo entrare nella parte abbiamo provato un passaggio dell’Enrico V.
Visto che lei è anche un attore, non ha pensato di ritagliarsi un ruolo?
Non ne ho avuto proprio il tempo. Ho dovuto scegliere. Del resto, mi piace così tanto la recitazione che mi diverto anche a veder recitare gli altri. Ci siamo concentrati su un paradosso che ci affascina tutti: l’umanità del dio. Thor viene esiliato da Asgard, e perde tutto: famiglia, amici, potere. Cosa succede a una persona quando perde tutto? E’ costretta a reagire, a guardarsi allo specchio e scoprire se stesso, tentando di migliorare. C’è anche un aspetto comico in tutto ciò: il dio che si fa uomo scopre un mondo a lui estraneo. Chiede un cavallo in un negozio di animali e butta in terra la tazza in un fast food per chiedere altro caffé. Inoltre scopre l’amore.
Chi sono, oggi, per lei, gli eroi?
Sono persone come noi che però hanno la forza di lavorare per cambiare le cose nella maniera giusta. Obama, Mandela…
Con questo film dimostra davvero di essere un autore versatile. Che cosa farà da grande?
Veramente spero di non diventare mai grande. Thor è stata un’avventura, ho vissuto per due anni a Hollywood, ho messo le mani su tecnologie di cui ignoravo perfino l’esistenza. Ma la cosa che mi interessa davvero è continuare a stare vicino a gente di talento, come Sir Hopkins o Natalie Portman.
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