Kechiche, erotismo esplicito, la platea protesta e un’attrice da forfait

Mektoub, my love: Intermezzo di Abdellatif Kechiche in Concorso: secondo capitolo ad alto tasso erotico esplicito, ma influenzato dalla pittura cubista di Picasso


CANNES – Mektoub, My Love: Canto Uno (2017). Tutto ha avuto inizio con questo titolo che quasi evoca una memoria dantesca (canto) e, tutto sommato, il passaggio dal primo capitolo all’Intermezzo potrebbe essere un lento avvicinamento, metaforico, “agli inferi”, così sembra essere stato per una parte di platea, che in occasione della prima cannese non ha portato a termine la visione, uscendo in anticipo dalla sala per l’eccesso di erotismo esplicito e ricorrente che il film propone, culminando in una prolungata (12 minuti circa) scena di sesso orale, in cui la camera inquadra quasi fissa sul sesso di Ophélie (Ophélie Bau). L’attrice ha abbandonato prima della fine del film la proiezione ufficiale e ha poi disertato per protesta sia la conferenza stampa che il photocall. Kechiche le si è rivolto al microfono dicendo: “Mi scuso per non averti avvertito”, riferendosi alla scena di sesso orale. Infine durante l’incontro con i giornalisti c’è stato un momento di tensione quando al 58enne regista è stata fatta un domanda relativa alle accuse di violenza da parte di una donna e per le quali il procuratore di Parigi ha aperto un’indagine lo scorso ottobre. “Siamo qui per parlare di cinema”, ha tagliato corto il cineasta.  

Venendo al film, ecco l’esile trama, come riportata dal catalogo: l’estate sta per finire quando Amin (Shaïn Boumedine), aspirante regista, e i suoi amici incontrano Marie (Marie Bernard), studentessa diciottenne. Dopo l’incontro in spiaggia Mektoub, My Love: Intermezzo s’anima principalmente in un unico ambiente, la discoteca, situazione che permette una certa insistenza dell’occhio meccanico su corpi mossi sinuosamente e sederi femminili dall’andamento ancheggiante: una scelta, quella dell’unità di luogo, che Abdellatif Kechiche (Palma d’Oro 2013 per La vie d’Adèle) ha spiegato come “mitologica, con riferimento al mito platonico della caverna. L’idea è stata quella di rintracciare dei valori”.

La giovinezza, la spensieratezza, lo stato di vacanza perenne, sono l’impatto immediato del film del regista tunisino naturalizzato francese, che con questo secondo capitolo vuole “rappresentare il desiderio, celebrare la vita, l’amore, il corpo, la musica”, ha detto aprendo la conferenza stampa. “Volevo un’esperienza di cinematografia libera, cercare altre forme narrative, per ‘rompere le regole narrative’. È stato un esperimento, con un’estetica differente; il film racconta diverse storie e differenti personaggi, per cui ho avuto differenti modelli d’ispirazione”. Tra questi, insiste su quelli prettamente connessi alle arti tradizionali, in particolare ha detto di essere andato alla ricerca di “un’estetica più pretenziosa, quella dei grandi pittori. Sono stato ispirato dagli Espressionisti e dai Cubisti, da dipinti come Les Demoiselles d’Avignon di Picasso e colori come il magenta: ho cercato di far vibrare il mistero del corpo, ed è stato magico, quasi metafisico. Ho tentato di filmare i corpi pensando a quelli che si possono guardare passeggiando per Parigi, piena di sculture di corpi”, una dimensione possibile usando gli interpreti (oltre a Bau, Bernard e Boumedine, Hafsia Herzi, Salim Kechiouche, Dany Martal, Lou Luttiau), per cui Kechiche ha spiegato di “aver cercato di creare una situazione confortevole, anche lavorando con altri professionisti, come il coreografo”. Nella troupe anche il direttore della fotografia italiano, Marco Graziaplena, che ha collaborato poi, per parte del set, con il collega Jérémie Attard.

Nonostante la lettura autorale che il regista ha dato, rimane nell’aria il senso di forte disturbo, perché la sua messa in scena della realtà conduce al sottile limite tra un bell’erotismo che sullo schermo può essere celebrato, e quello che in Intermezzo rischia di precipitare facilmente nel pornografico, che il pubblico forse non ha la disponibilità di accogliere, così carnale ed esplicito. Tema, quest’ultimo, su cui la stampa ha cercato di sollecitare Kechiche, che ha risolto in breve facendo notare, con fastidio, che siamo ad un festival di cinema, un luogo in cui parla tutto il cinema. E che questa focalizzazione e le conseguenti domande in merito sembrano quasi provocatorie, e comunque fuori luogo: “Non a tutti può piacere questo genere di film e la cosa non è un dramma, perché non tutti guardano allo stesso modo, ma io amo i miei personaggi e il loro ‘fuoco’. Non tutti riescono a vedere la potenza dei personaggi. Per me Intermezzo era un modo per uscire dalla visione frammentata del mondo, per ritrovare i rapporti tra gli esseri umani”. Dinamiche che, se si resiste alla visione, hanno uno svolgimento narrativo di circa tre ore e mezza (in questa versione del Festival: realmente sarebbero quattro), annoverando il film come il più lungo del Concorso, tempo in merito a cui il regista ha detto di non possedere una spiegazione: “non mi sono fatto questa domanda sulla durata. Penso non importi, ma sia importante guardare il talento di questi favolosi interpreti”.

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24 Maggio 2019

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