TRENTO – Un progetto dall’essenza prima musicale, che tesse insieme arte e sostenibilità, per diventare infine cinema. È Karma Clima, il progetto dei Marlene Kuntz, che nella sua declinazione audiovisiva viene presentato al 71° Trento Film Festival – sezione Proiezioni Speciali.
Michele Piazza – che arriva a Trento da Berlino per l’anteprima assoluta, indossando una t-shirt con stampato sopra il classico profilo dell’orso della Berlinale, qui percepibile come segnale esplicito sull’attualissimo caso dell’orsa JJ4 – per Karma Clima è stato dapprima reporter fotografico del progetto, di cui aveva anche realizzato – senza uno scopo cinematografico finale prescelto – delle sequenze di immagini: firma la regia del documentario che racconta le tre residenze artistiche che hanno dato vita all’ultimo lavoro discografico della band cuneese, nato in tre luoghi simbolo della “piccola Italia”, in provincia di Cuneo: Ostana, che dal basso all’alto ammira il Monviso, uno tra i Borghi Più Belli d’Italia e riconosciuto laboratorio di rinascita metromontana e culturale; Piozzo, in cui ha sede il rinomato Birrificio Baladin di Teo Musso; e la borgata Paraloup, nel Comune di Rittana, in cui le prime cellule della Resistenza si organizzarono per l’opposizione all’occupazione nazista.
Michele, l’idea di produrre un documentario che illustrasse l’esperienza di Karma Clima è arrivata alla fine delle residenze: da che esigenza nasce, nel momento in cui è emersa questa necessità, e come hai a quel punto lavorato sul materiale visivo? Cosa c’era di girato e cosa avete realizzato ad hoc?
Mi trovavo con i Marlene Kuntz sin dall’inizio del loro progetto per realizzare un reportage fotografico appunto, nel mentre giravo qualche clip per ‘Rolling Stone’, per tre mini video. Solo alla fine delle residenze ci siamo detti che sarebbe stato interessante se ci fosse stato del materiale utile per un docufilm: raccontare quello che era accaduto sarebbe stato interessante. Dall’estate scorsa ho cominciato a riguardare un po’ le clip e mi sono reso conto ci fosse un bel po’ di materiale, ho solo integrato con un paio di interviste nelle ultime fasi delle residenze, tanto per chiudere un po’ il cerchio, e quindi a metà agosto ho iniziato a riguardare tutto il materiale; non mi ero reso conto di aver in realtà girato così tanto, il mio scopo iniziale era coprire quei pochi minuti per le clip concordate, realizzati tra una foto e l’altra, con la macchina fotografica, senza microfoni o altri strumenti, però sono riuscito poi a produrre il doc incastrando un po’ di pezzi, forse perdendone qualcuno perché non s’immaginava sin all’inizio di dover poi creare questo altro progetto, per cui adesso mi sembra quasi un mezzo miracolo, non avendolo appunto previsto sin da prima. E da lì sono cominciati i primi montaggi, ho testato varie stesure narrative, fino ad arrivare a quella finale. È stato un po’ una sfida.
Il progetto primo ha una paternità forte e precisa, i Marlene Kuntz appunto: hanno avuto voce in capitolo nella finalizzazione del doc e se sì come hanno impresso la loro personalità?
Sono stato molto autonomo, l’ho presentato loro alla fine, così com’è adesso: all’inizio non avevano grosse aspettative per come era stato impostato il lavoro originale, ma adesso sono soddisfatti, anche perché – oltre alle foto – è l’unico documento che racconti l’esperienza di questo progetto. La loro soddisfazione è di conseguenza la mia, è stato come restituirgli gratitudine per la loro arte, considerando che il mio avvicinamento a loro parte da fan, per cui è stato come uno scambio.
La montagna, la Natura, ha un proprio suono specifico, anzi molti, e un film ha sempre una sua colonna sonora, musicale o meno: come avete lavorato su questo aspetto, cioè sull’armonizzazione del suono diegetico, della musica della band e delle esigenze del doc?
Nel documentario abbiamo sia situazioni di incontro con le persone del territorio, sia momenti di composizione dell’album: in molte parti c’è proprio l’audio degli strumenti, dei musicisti, in altre vediamo le fasi di stesura dei testi da parte di Cristiano Godano, isolato sulle cime, per cui lì c’è proprio il suono della montagna; non c’è quindi un audio costruito, è tutto in presa diretta dalla fotocamera. Ho cercato di creare un equilibrio tra la registrazione dell’album, perché non voleva essere un making of del disco, ma un film che raccontasse del progetto nella sua completezza.
Il film contiene le registrazioni dei musicisti, gli incontri con le comunità e le associazioni coinvolte, e testimonianze sul tema del cambiamento climatico: qual è il potere del cinema rispetto a tutti questi aspetti? Provocatoriamente: non si bastavano da soli, quindi il linguaggio audiovisivo è un valore aggiunto?
Essendo i Marlene Kuntz una band musicale e il disco un concept album, per cui nei testi c’è un messaggio specifico, il docufilm permette di vedere come sia stato concepito l’album, da dove arrivino gli spunti che hanno permesso la scrittura e la concezione dell’album stesso. Credo il doc sia un modo per estendere il messaggio, che la sua funzione sia proprio questa. Io ero lì a vedere il progetto nel suo divenire e credo il film sia una parte integrante e un valore aggiunto.
La montagna, come soggetto di natura, è molto presente nel doc, e lo era già sin da quando il progetto non era ancora pensato come cinematografico. Quando poi ha preso anche questa forma, ha lavorato in maniera specifica per renderla ancor più ‘attrice’?
In realtà no, nel senso che eravamo proprio immersi in quello scenario, quindi non ho avuto bisogno di enfatizzare. Eravamo spesso isolati tra le montagne, un’immersione reale, è quello che è successo, era il nostro paesaggio quotidiano: non c’è stata una scelta di montaggio per amplificare, eravamo lì in quella ‘bolla’, anche per gli artisti stessi, per cui è raro poter essere così contaminati dalla natura, fonte di tanti spunti, ma è proprio andata così, è stato fighissimo così, respiravamo proprio quell’aria lì.
Karma Clima, così declinato e così versatile, potrebbe prendere un’ulteriore forma? Artistica, di comunicazione sociale, di business?
Stiamo già pensando a come progredire. Con Lagash, il bassista dei Marlene Kuntz, e con la cooperativa che rappresenta Ostana, stiamo parlando di altri progetti riguardanti il clima, e i Marlene rientreranno per un progetto: loro credono fortemente che l’arte sia un mezzo per veicolare dei messaggi, hanno pensato di sfruttare le proprie doti per comunicare a più persone possibili questi messaggi. Se riuscissimo a fare arte e portare così messaggi importanti sarebbe un modo più coinvolgente di far percepire alcune tematiche, senza arrivare a conflitti, che solitamente portano a poco.
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