Tra due mondi che sono destinati a restare separati da un confine invisibile ma invalicabile si muove Marianne, una scrittrice di successo che lavora a un libro sul precariato dal di dentro. Nella prima sequenza la vediamo affrontare la prova dell’ufficio di collocamento dove conta soltanto la disponibilità a farsi sfruttare senza orari e richieste. Fingendo di essere stata lasciata da marito e di cercare un impiego per la prima volta a 50 anni, si trova catapultata nel mondo delle imprese di pulizia a Ouistreham, attracco dei traghetti che collegano la Francia al Regno Unito.
E si intitola proprio Ouistreham (in italiano Tra due mondi) il film di Emmanuel Carrère, in sala con Teodora dal 7 aprile, dopo le anteprime alla Quinzaine des Réalisateurs e al Festival Rendez-Vous. Un dramma sociale che si confronta con i temi della nuova povertà e della cancellazione dei diritti dei lavoratori, in stile Ken Loach, ma che aggiunge il punto di vista interno, quello della autofiction e della rappresentazione di sé, tipica dello scrittore francese. Ispirato al libro inchiesta di Florence Aubenas, giornalista di Libération (in Italia lo pubblica Piemme con il titolo La scatola rossa), è costruito sulla dialettica tra verità e menzogna e tra un’attrice consacrata come Juliette Binoche nei panni di Marianne e i volti in presa diretta con la realtà, spesso nel ruolo di se stessi, in particolare Hélène Lambert che incarna la madre single Christèle.
La terza regia dell’autore di Yoga e Il regno risponde a una precisa e perentoria esigenza di Juliette Binoche che da anni voleva realizzare un film dal libro di Florence Aubenas. All’inizio la stessa scrittrice era poco propensa ad accettare, alla fine ha acconsentito all’adattamento ma solo a patto che Carrère fosse coinvolto.
“Ho diretto due film prima di questo – spiega l’autore – un documentario, Ritorno a Kotelnitch, e un film di finzione, L’amore sospetto. Tra due mondi segna un punto di incontro tra i due, perché parte da un materiale documentario, il libro di Florence, e diventa un’opera di finzione, contenendo molte invenzioni che non sono nel libro. La stessa Marianne è una creazione ibrida, un incrocio tra Florence e me”.
Un film corale, dunque, ma anche un ritratto ravvicinato e intimo di due donne: la borghese Marianne che si finge ridotta sul lastrico e senza punti di riferimento mentre prende appunti in segreto e la proletaria Christèle, che la “adotta” e le offre la sua amicizia ruvida ma disinteressata aiutandola anche a trovare lavoro sui traghetti che attraversano la Manica. Tre turni di 90 minuti in cui bisogna rimettere a posto centinaia di cabine, con letti da rifare a tempi record e bagni in condizioni penose. Il tutto seguendo il comandamento dello “SBAM” (Sourire, Bonjour, Au revoir, Merci) nei rapporti, piuttosto rari, con il pubblico, perché ovviamente quello delle pulizie è un lavoro di retroguardia.
Binoche affronta con cuore ardente il difficile impegno di restituire tutta l’ambiguità della figura di Marianne, che si affeziona davvero alle compagne di lavoro ma nello stesso tempo non smette mai di fingere. “Ho inserito l’elemento drammaturgico di questa amicizia sincera e profonda – spiega ancora Carrère – ma che si basa su un’ambiguità, anzi su una bugia. Florence Aubenas è una grande scrittrice ma rivendica di essere prima di tutto una giornalista. Al contrario di lei, nei miei lavori mi metto in scena con tutti i miei dubbi e i miei stati d’animo e proprio per questo mi sono identificato moltissimo nel personaggio di Marianne”.
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