Julianne Moore: “La famiglia gay? E’ normale”


Sarà Paolo Sorrentino, di ritorno dall’America, a consegnare stasera a Julianne Moore il Marc’Aurelio alla carriera. La bravissima attrice americana, con i suoi 49 anni, è la più giovane star a ricevere il prestigioso riconoscimento di Roma dopo Sean Connery, Sophia Loren, Al Pacino e Meryl Streep. Elegante e un po’ trasgressiva, in rosso e ruggine e con tacchi altissimi, incontra i giornalisti per parlare di sé, ma soprattutto del film che porta qui al Festival, fuori concorso, I ragazzi stanno bene di Lisa Cholodenko. Una simpatica commedia sulle famiglie di fatto, già vista a Berlino, e in uscita a febbraio 2011 con Lucky Red.

 

Nel film, che in parte ripercorre la vera storia della regista, sposata con un’altra donna e madre grazie a un donatore di sperma, la vita matrimoniale di Nic e Jules (Annette Bening e Julianne Moore) è turbata dall’entrata in scena di Paul, padre biologico dei due figli della coppia, una ragazza di 18 anni e un maschio di 15. Le situazioni paradossali si moltiplicano, mentre scatta un’inattesa attrazione fra il ruspante Paul, uno scapolone tutto muscoli e istinto (un divertentissimo Mark Ruffalo) e Jules, insoddisfatta per aver lasciato il lavoro per fare la casalinga, mentre Nic si è dedicata alla carriera.

 

Le è capitato più volte di incarnare personaggi gay, è stato difficile?

La sfida per me è dare verità al personaggio, ma in questo caso non c’era bisogno di fare una grande ricerca. Ho molta esperienza nel rapporto di coppia e come genitore. E credo che questo film parli essenzialmente di questo: una coppia che sta insieme da tanto tempo con i figli che crescono e le crisi che si presentano.

 

In Italia le famiglie gay sono ancora in parte tabù.

Negli Stati Uniti ce ne sono sempre di più. A New York, dove i miei figli vanno a scuola, sono tante le famiglie con due mamme o con due papà. E secondo una ricerca pubblicata dal New York Times i ragazzi educati in questi contesti, sono figli straordinari, ben inseriti socialmente e sereni. I ragazzi hanno bisogno di due genitori che gli vogliono bene, che siano un papà e una mamma, due papà o due mamme, poco importa.

E’ vero che lo spunto del film è la storia della regista?

Lisa, quando ebbe l’idea, stava parlando con la sua ragazza della possibilità di costruire una famiglia usando l’inseminazione. Mentre Stuart Blumberg, che ha scritto il copione insieme a lei, era stato donatore ai tempi dell’università. Quindi avevamo entrambi i punti di vista.

 

Il film è diventato via via un grande successo negli Stati Uniti.

È un film mainstream, perché parla di una famiglia normale, di una coppia normale. Dopo un po’ ci si dimentica che sono due donne. E poi ci sono tanti film su due persone che si innamorano, ma non tanti sulla gente sposata da un sacco di anni. Quando sei una coppia di vecchia data, non ti ricordi neanche più del primo incontro, ma il rapporto si è approfondito attraverso l’impegno a restare insieme, è cresciuto e si è trasformato nel tempo.

 

Il film è anche un elogio del matrimonio.

In un momento in cui molti non danno valore al matrimonio, questa storia va controcorrente ma senza ignorare il tema del tradimento. Il mio personaggio, Jules, si sente perso, da 18 anni fa la mamma, è rimasta a casa dal lavoro e ora che sua figlia sta per andarsene al college, lei non si sente più riconosciuta, quindi entra in crisi. Però non riesce ad esprimere bene quello che prova, proprio come succede nella vita. Tenta un lavoro, poi un altro, fa delle scenate alla sua compagna, poi incontra questo tizio che sembra che le dia un riconoscimento e ha una storia con lui. Ma dopo si rende conto di quello che ha fatto alla sua famiglia e se ne pente. Non sempre nella vita le persone hanno le idee chiare, in amore c’è sempre spazio per l’ambiguità ma anche per il perdono.

 

Ha letto la dichiarazione di Silvio Berlusconi, che dice: è meglio guardare le donne che essere gay?

È una frase arcaica e idiota. Ormai sappiamo che l’orientamento sessuale dipende dalla biologia. Dire che c’è qualcosa di male nell’omosessualità, con tutti i grandi personaggi della storia che sono stati gay, è un commento infelice e imbarazzante.

 

Un premio alla carriera è sempre un’occasione per fare un bilancio. Qual è il suo?

Fino all’inizio degli anni ’90 ho lavorato in tv e nel teatro off Broadway, poi ho incrociato la strada del cinema indipendente e tutto è cambiato. Con America oggi e Vanya sulla 42esima strada è iniziata la mia carriera nel cinema. Una carriera inattesa: avevo già 32 anni. Adesso ne ho 49, non ancora 50… perché li compio il 3 dicembre… il discorso dell’età continua a venire fuori nei media, ma io non so cosa dire. Penso solo che si insiste un po’ troppo su questo aspetto.

 

 

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02 Novembre 2010

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