TORINO – Dopo Emir Kusturica, Gianni Amelio ha scelto John Boorman per il Gran Premio Torino, che vuole segnalare una figura carismatica del cinema mondiale. E stavolta nel segno di una grande amicizia intellettuale, benché a distanza. “Prima ancora di conoscerci abbiamo scritto l’uno dell’altro, John su Porte aperte, io su Un tranquillo week end di paura. Poi finalmente ci siamo parlati al telefono, mentre io ero a Cannes: voleva sentire la mia voce, immaginava che fossi uno che sul set parla piano per obbligare gli altri ad ascoltarmi”, dice il direttore del Torino Film Festival. Ma anche il cineasta inglese si dichiara un ammiratore di Amelio e dei suoi film. “Quando l’ho incontrato è stato come incontrare un fratello”. Molto al passo coi tempi, nonostante i suoi 78 anni (li compirà il 18 gennaio), Boorman ha anticipato le infinite saghe fantasy contemporanee con Excalibur (e avrebbe dovuto girare lui Il signore degli anelli) e la sensibilità ecologista con tanti film, tra cui La foresta di smeraldo.
Che ricordo ha di Lee Marvin che lanciò la sua carriera a Hollywood?
Lee era un uomo notevole e attore straordinario. L’ho incontrato a Londra quando faceva Quella sporca dozzina. Decidemmo di fare Senza un attimo di tregua, ma sapeva che avremmo incontrato grosse difficoltà a fare un film così radicale con la Mgm, dove predominavano idee conservatrici. Lui però aveva da poco vinto l’Oscar ed era molto in vista così durante la prima riunione allo studio mi girò la clausola che gli lasciava l’ultima parola su sceneggiatura e cast. Era il mio primo film americano e avevo già il final cut, grazie a Lee. Ricordo anche che gli piaceva molto bere. Una sera eravamo andati a Venice, in California. Aveva esagerato con l’alcol e io gli chiesi di guidare, lui rifiutava di darmi le chiavi, ci fu una discussione, alla fine accettò di venire, ma salendo sul tetto dell’auto. Così alle 2 del mattino mi ritrovai a guidare a passo d’uomo lungo la Pacific Coast Highway. A un certo punto mi fermò un poliziotto e mi disse: “Lo sa che c’è Lee Marvin sul tetto della sua auto?”.
E Mastroianni, che ha diretto in “Leone l’ultimo”?
Fin da subito avevo in mente lui per il ruolo di un aristocratico europeo che scopre di essere proprietario di un’intera strada di Londa. Era l’attore più rilassato che io abbia mai conosciuto. C’era una scena in cui era a letto e si svegliava, ma lui si è addormentato davvero, così l’ho dovuto svegliare, ma dopo un po’ dormiva di nuovo.
Riuscirà a realizzare il film che sogna da anni, “Memorie di Adriano” dal romanzo di Marguerite Yourcenar?
E’ un progetto molto ambizioso, dobbiamo ricreare l’Impero romano e per ora non ho abbastanza soldi per farlo. Gli ultimi due anni sono stati pessimi da questo punto di vista a causa della crisi economica e finanziaria. Così nel frattempo ho fatto un altro film, Tiger’s Tale, e vorrei farne un altro, Broken Dream, però Adriano rimane seduto sulla mia spalla e ogni tanto si fa vivo. Siamo sempre amici anche se non abbiamo soldi. Vede, Hollywood è nemica del’originalità. Se puoi esprimere le tue idee in uno spot televisivo di 30 secondi, bene, altrimenti il film non si fa.
Ci parla del suo rapporto con la mitologia germanica, Wagner e Tolkien?
Mi sono avvicinato a Wagner mentre preparavo Excalibur, che è tratto dalla Leggenda del Santo Graal, e sono andato a vedere il “Ring” a Bayreuth. Poi mi sono imbattuto di nuovo in Wagner quando cercavo di fare Il Signore degli anelli, una saga che è molto legata al ciclo germanico e ho usato anche la sua musica a più riprese.
Cosa pensa del cinema italiano contemporaneo, sempre se lo conosce?
Vedo di tanto in tanto qualche film italiano di oggi, ma prediligo gli anni d’oro – Fellini, Antonioni e gli altri grandi del dopoguerra – mentre il cinema contemporaneo soffre, come tutto il cinema europeo, della dominazione degli americani e di una mancanza di pubblico e di denaro.
Ci sono due suoi film, “Anni ’40” e “The General”, che sono autobiografici. Come nascono?
Anni ’40 è un film sulla mia infanzia a Londra durante i bombardamenti, il London Blitz. Ho messo insieme i miei ricordi, anche se erano piccoli frammenti e mi sembravano un po’ deboli per costruire una storia, invece quando il film è uscito tutti erano catturati e affascinati proprio dalla storia. Anche il personaggio di The General, un famoso malvivente irlandese, l’ho incontrato veramente, perché tra l’altro ha svaligiato la mia casa rubando i premi che avevo ricevuto per la colonna sonora di Un tranquillo week end di paura: credeva che fossero d’oro invece erano placcati ed è rimasto molto deluso. Così ho inserito questa scena nel film.
Per quale film vorrebbe essere ricordato tra cent’anni?
Speriamo che ci sarà ancora il mondo tra cent’anni e non so se i miei film verranno ancora ricordati, ma tra tutti credo che Excalibur e Un tranquillo week end siano i più visti.
A proposito di sopravvivenza del mondo, lei ha sempre posto la questione ambientale con forza nel suo cinema, anche quando non era ancora un tema corrente nel dibattito pubblico.
In Un tranquillo week end si parla di un fiume che viene distrutto per costruire una diga che produrrà elettricità per gli abitanti di Atlanta. Uccidere un fiume è uno dei peggiori crimini contro la natura e noi siamo parte della natura e non i suoi padroni. Se non diventiamo migliori, periremo tutti. L’ho mostrato in diversi film, tra questi La Foresta di smeraldo, dove gli indios sono la personificazione buona della foresta pluviale, mentre gli indigeni delle montagne di Un tranquillo week end sono rappresentanti di una natura malevola.
Cosa pensa del digitale rispetto alla pellicola?
Sono totalmente convertito al digitale, penso che dia maggior controllo e una qualità migliore. Ho usato la pellicola per 50 anni e ho sofferto terribilmente per i graffi e le altre magagne. Ma oggi la pellicola, un’invenzione del XIX secolo, è finita.
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