M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati – romanzo Premio Strega, bestseller venduto in 50 Paesi nel mondo – è il punto di partenza per la sceneggiatura della serie curata da Stefano Bises e Davide Serino, una produzione Sky Studios – con The Apartment tra i soggetti intenzionali alla co-produzione.
Sono 8 gli episodi diretti dal regista inglese Joe Wright, le cui riprese di sei mesi complessivi cominceranno tra tre settimane a Cinecittà.
Da quello che Scurati stesso chiama “romanzo sperimentale”, un’opera monumentale che ha scelto – per la serialità – il volto di Luca Marinelli nel ruolo protagonista e che, regista e sceneggiatori, hanno presentato alla Festa di Roma, in un incontro pubblico della sezione Paso Doble. “Sono sempre stato molto affascinato dalla prima parte del XX secolo, quindi questo progetto mi è sembrato un ampliamento di una forma di istruzione iniziata con L’ora più buia, un’opportunità per la mia formazione”, così lo definisce Wright, prossimo alle riprese. “Quando lavoro permetto al film di rivelarsi e condurre, cerco di non imporre le mie visioni prioritariamente, mi metto in ascolto di ciò che voglia essere il film. Credo comunque qui ci sia un tema connesso alla mascolinità, cioè l’esigenza di Mussolini di imporre la propria volontà sugli altri. Credo sia un personaggio carismatico e tuttavia che al centro ci sia un vuoto, ma mi si rivelerà di più man mano che realizzerò la serie”.
“Il libro racconta dalla fondazione dei fasci di combattimento e si conclude nel primo passo nella dittatura, quando Mussolini si rende conto di avere un Paese in mano: ci siamo concentrati sulla costruzione di una dittatura, uno sliding-doors, in cui l’Italia avrebbe potuto sbarazzersi di lui, e noi abbiamo cercato di portare alla luce il rapporto con la violenza, in un corpo a corpo reale di Mussolini, tra la necessità di praticarla e la volontà di ripudiarla, elementi fondanti del Fascismo. Mussolini vuole essere amato e la presa di potere con la violenza lo fa soffrire: un racconto umano irresistibile. Poi, Joe ha individuato, appunto, il terzo elemento: una certa mascolinità”, spiega Bises.
“La prima sfida è stata partendo dalla monumentale ricerca del romanzo e dall’idea di Scurati di vedere quella parte di Storia dagli occhi di Mussolini stesso e dei suoi. Da lì un lavoro sul tono, che prendesse le pagine del romanzo, facendolo nostro ma senza tradirlo. La mascolinità tossica e le donne non sono indagate col melò ma ogni storia è il racconto di un personaggio e non narrato come il lato B di una storia”, aggiunge Serino.
Volente o nolente, la figura di Mussolini, un po’ per vissuto diretto – da parte delle generazioni più anziane -, un po’ per parziale studio sui libri scolastici, un po’ per la visione di materiale documentario, è un profilo che – soprattutto il popolo italiano – sente “famigliare”, questione con cui il regista e gli sceneggiatori hanno dovuto confrontarsi per l’adattamento e la messa in scena. “Non vogliamo assolutamente creare una caricatura, cosa molto facile, e neppure un’imitazione. C’è una linea chiara tra incarnare un ruolo e fingere di esserlo. Col trucco ti puoi avvicinare al personaggio ma perdi l’attore: bisogna incarnare nel profondo una persona. Ci sono tante versioni della Storia, ognuno ha la propria versione del libro, che si svolge nella propria testa: così succede quando si guarda, dunque noi facciamo suggerimenti allo spettatore”, commenta Joe Wright, che per l’idea visiva della serie “ho parlato con Guillermo Del Toro lo scorso fine settimana: per il tono, mi ha detto che lui usa prendere due generi in conflitto per capire l’attrito che si stabilisce. Qui parliamo della fine degli Anni ’20, quindi di Gangster Movie, di un’estetica tecnologica astratta, come L’uomo con la cinepresa, quindi la visione sarà qualcosa che sta in mezzo a tutto questo”. La serie – conferma Wright – non prevede uno showrunner, ma “lo facciamo come un lungo film di 8 ore, diviso in capitoli”.
Sulla “famigliarità”, Bises dice che “quel Mussolini dei primi anni era meno noto, un vantaggio per noi: ancora non era carico dell’iconografia a noi consegnata ed è stato infatti interessante seguire la trasformazione a dittatore. Lui per il potere comincia a essere molto meno contro tutto e molto pro a tutto ciò che gli permette di conquistarlo: siamo comunque partiti dal dimenticarci del personaggio per non fare un discorso ideologico sul male. Mussolini è stato il fondatore del brand ‘Fascismo”’, il più duraturo di questo Paese. Insomma, raccontiamo come Mussolini diventi Mussolini senza omissioni sul carattere terribile, ma col tentativo di far domandare a cui guarda: ‘ce la farà? e se sì, come?’, con una sorta di comprensione della complessità del personaggio”.
La persona, il personaggio, il mondo umano a lui abbracciato, sono italiani e così è stato necessario anche un pensiero specifico sull’uso della lingua, per cui – conferma il regista – la serie sarà girata in italiano: “che io non parlo ma come ha detto Hitchcock: ‘il dialogo è quello che accade quando gli occhi osservano la storia’. Io volevo lavorare con Bises, di cui mi era capitato di guardare la prima stagione di Gomorra, una scrittura straordinaria: quindi, mi fido delle parole di Stefano e Serino e di Luca Marinelli, un attore molto confidente con le parole. E poi c’è anche l’aspetto del dialetto, delle persone dell’entourage che vengono dalle diverse aree del Paese: è davvero una cosa incredibile, e quindi dovranno parlare con l’accento della loro Regione di provenienza; Mussolini ha unificato il Paese e l’Italia era un Paese molto giovane allora, il patriottismo era un concetto nuovo, quindi l’idea di mettere insieme varie Regioni è per me molto interessante. Cercheremo questo e non di far parlare un italiano impostato, che nessuno parla”.
Sulla questione linguistica, per Stefano Bises, “L’abilità di Scurati è far parlare Mussolini in prima persona, lui che ha coniato modi di dire – infatti era un grande giornalista, un vero talento nell’uso della parola: molte di queste sono nei discorsi, molte le abbiamo clonate per certi momenti. Joe è super coraggioso perché maneggia qualcosa che non è la sua lingua e la rottura, in quegli anni, si sentiva prima di tutto nelle parole”.
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