Joe Wright: “Mussolini, metafora della bestia che è in noi”

Il regista britannico e Luca Marinelli ci parlano di 'M Il figlio del secolo', la serie in otto puntate in onda su Sky a partire dal 10 gennaio coprodotta in collaborazione con Cinecittà


Dopo L’arte della gioia e Qui non è Hollywood, per citare solo due casi, arriva a inizio 2025 come un regalo di Capodanno M Il figlio del secolo, la serie diretta dal britannico Joe Wright, tratta dai romanzi di Antonio Scurati e interpretata da un Luca Marinelli in stato di (dis)grazia nel ruolo di Benito Mussolini. Non mimetico ma perfettamente plausibile, suadente, selvaggio e inquietante nel ruolo del Duce, che viene rappresentato in otto puntate (in onda su Sky e in streaming su Now dal 10 gennaio) nelle varie fasi della sua ascesa. Questa stagione parte dal 1919 con la nascita dei Fasci di combattimento dalle ceneri della prima guerra mondiale e arriva fino al 1925, con l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti. Una escalation verso il potere assoluto che Mussolini/Marinelli ci racconta anche in prima persona, con uno sfondamento della quarta parete che vuole coinvolgere e chiamare in causa ogni singolo spettatore e che rende la narrazione spaventosamente attuale.

La serie, che ha una qualità cinematografica assoluta e che ha debuttato alla Mostra del cinema di Venezia, è prodotta da Sky Studios e Lorenzo Mieli con The Apartment, in coproduzione con Pathé in associazione con Small Forwards Productions e in collaborazione con Fremantle e Cinecittà SpA (le riprese si sono svolte negli studios di Via Tuscolana). Scritta da Stefano Bises e Davide Serino, interpretata da un cast di qualità incredibile in cui spiccano Francesco Russo (il braccio destro di Mussolini, Cesare Rossi), Barbara Chichiarelli (Margherita Sarfatti, amante di Benito e creatrice del suo mito a livello internazionale), Benedetta Cimatti (Donna Rachele, la moglie di umili origini, tradita e umiliata, ma sempre al suo fianco). Colonna sonora elettronica di Tom Rowlands con The Chemical Brothers, regia dell’autore di Espiazione ma soprattutto de L’ora più buia su Winston Churchill. Abbiamo incontrato Joe Wright insieme agli attori e all’autore della serie di romanzi sul capo del fascismo (l’ultimo, M L’ora del destino, è in uscita).

Joe Wright. “Essendo inglese ho avuto una giusta distanza dall’argomento, un po’ come il fotografo tedesco Billy Brandt che ha dato con i suoi scatti una visione del Regno Unito come nessun altro ha saputo fare. A parte che non trovo tutta questa differenza tra UK e Italia, malgrado la lingua diversa, perché ritengo che ci sia maggiore la distanza culturale tra noi e gli americani. Per me era importante trovare il tono giusto e non ritrarre Mussolini come un pagliaccio, prenderlo sul serio e fare in modo che la serie potesse intrattenere il pubblico senza predicare. Certo, il tono cambia nel corso degli episodi, si fa sempre più serio e drammatico. È stata la sfida più grande avvicinarsi alla figura di Mussolini e permettere a Luca Marinelli di incarnarlo seducendo il pubblico, come Mussolini aveva sedotto non solo un’intera nazione ma anche tanti capi di Stato stranieri, tra cui lo stesso Winston Churchill che negli anni ’30 gli scriveva messaggi di ammirazione. La rottura della quarta parete è stato il modo più naturale di riprodurre la struttura del romanzo che è un collage di lettere e testimonianze. Ho tenuto presente la lezione di Brecht, puntando prima su una sottile empatia con lo spettatore per poi fargli mancare la terra sotto i piedi e scatenare il pensiero critico. Il film è un invito a cercare la bestia che è in ognuno di noi. Anche L’ora più buia non era un film solo su Churchill, del resto”.

Luca Marinelli. “È stato importante il piano fisico, intellettuale ed emotivo. Ho dovuto sospendere il giudizio per sette lunghi mesi, ed è stato devastante dal punto di vista umano per me che sono antifascista, ma dal punto di vista artistico è stata una delle cose più belle che mi siano capitate anche grazie alla guida di Joe. Ho tentato di togliere tutte le definizioni, come ‘mostro’ o ‘diavolo’, perché queste sono etichette che non fanno altro che giustificare la nostra posizione e allontanare questa figura da noi, mettendolo quasi su un altro pianeta. Invece Mussolini era un essere umano che coscientemente ha scelto di fare quello che ha fatto e ha imboccato questa via criminale che ha portato se stesso e il paese alla rovina. Abbiamo toccato la parte più oscura di noi stessi, come esseri umani ci ha segnato molto. C’è voluto coraggio in ciascuno di noi, come soprattutto in Antonio Scurati che ha pubblicato questi libri pazzeschi”.

Antonio Scurati. “Ho fiancheggiato dall’esterno la scrittura e qualche volta anche la produzione. Intellettualmente è stato appassionante e avvincente confrontarsi con gli sceneggiatori Stefano e Davide. Come loro anche io sentivo la responsabilità di questo compito. A un certo punto ho molto dubitato riguardo al tono. Scrivendo avevo cercato una forma letteraria nuova per evitare di generare nel lettore qualsiasi forma di empatia. Mi sono proibito le classiche procedure romanzesche, come i dialoghi e i personaggi fittizi, l’introspezione, perché non volevo che il lettore sentisse simpatia con Mussolini, volevo evitare che lui risultasse un personaggio da commedia perché il fascismo è stato tutt’altro che una commedia, piuttosto una terribile tragedia. Quindi, di fronte agli aspetti di commedia presenti nella sceneggiatura, ho dubitato e ho detto loro che non li avrei seguiti su quella strada. Invece, era la strada giusta, date quelle premesse artistiche. Sono rimasto abbagliato dal risultato sullo schermo e sono contento che i miei timori abbiano creato qualche esitazione in più ma che non abbiano fermato il lavoro. L’arte è politica quando è grande arte. Questo è un grande copione, una grande regia, una grande prova d’attore. Prove da mattatore nel cinema italiano non ce ne sono moltissime, mi viene in mente solo Vittorio Gassman. Si parla tanto di egemonia culturale e credo che questa sia un’espressione dell’eccellenza artistica del nostro paese, ovviamente con il contributo di Joe Wright”.

Francesco Russo. “Ho letto i libri scritti da Cesare Rossi e pubblicati dopo la fine della guerra, nel ’45. Persino allora, dopo essere stato tradito, non riusciva comunque a parlare male di Mussolini come persona. Joe Wright ha suggerito a me e Luca Marinelli di lavorare sul tema dell’amicizia tossica, sulla relazione di co dipendenza, l’ho vissuta come una sorta di sindrome di Stoccolma. Mussolini è la persona che Cesare Rossi, suo factotum ed eminenza grigia, non è mai riuscito a essere. Il mio personaggio, quindi, è la metafora di un intero paese che si lascia sedurre dal Duce. Cercavo di stare nell’ombra anche fisicamente, sempre dietro le spalle di Mussolini. Rossi è qualcuno che vuole cambiare le cose senza metterci la faccia”.

Barbara Chichiarelli. “Margherita Sarfatti fu la vera e propria artefice del Duce. Non conoscevo bene la sua vita tanto complessa. Ho letto i suoi libri e mi sono resa conto che lei ha vissuto una dinamica di seduzione e abbandono, proprio come Cesare Rossi. E’ stata tradita non solo come amante ma anche in quanto ebrea. Nel ’45 scrisse un libro non ancora tradotto in Italia My Fault: Mussolini As I Knew Him, in cui lo critica e lo smonta, ma anche si dà addosso: ‘Ho fatto un grande errore a celebrarlo nel libro Dux, che è stato letto in tutto il mondo’, ammette. Sarfatti non riuscì a contenere la deriva che lui stava prendendo e per questo provò un grande dolore intellettuale ed emotivo”.

Benedetta Cimatti. “Da romagnola ho cercato di rappresentare Rachele da donna a donna. Anche lei vive questo fascino e si ritrova prigioniera in un rapporto che si basa su una violentissima dipendenza affettiva. Rachele ha amato Benito, ma si è difesa da lui mantenendo la sua autenticità, non cavalcando la mondanità del potere, ma rimanendo umile e fedele a se stessa. Forse per questo è riuscita a restare la sua roccia, come diceva lui”.

Stefano Bises. “Abbiamo sposato il libro che si apre e si chiude con la voce di Mussolini, quindi evitando il period drama classico. Il primo Mussolini è un perdente e sconfitto, un arci italiano opportunista, meschino, vile, bugiardo che fa parte di una tradizione di racconto che va da Alberto Sordi a Toni Soprano. Questo trattamento era funzionale a creare quasi una simpatia per il personaggio, una comprensione. Poi, via via che la serie diventa più crudele, più cupa, che lui mette i propri vizi e difetti al servizio di un potere feroce, portiamo lo spettatore a stare male. Abbiamo sentito una forte responsabilità verso il romanzo e verso la memoria storica del nostro paese”.

Davide Serino. “La responsabilità che abbiamo sentito, cerchiamo di restituirla attraverso il suo sguardo in macchina. È facile sottovalutare, lo facciamo anche adesso. Abbiamo cercato di tenere alto il livello di guardia. Mussolini chiama tutti noi a dire una parola contro, ma quella parola nessuno la dice”.

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05 Gennaio 2025

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