La regista austriaca Jessica Hausner con Club Zero – in concorso al Festival di Cannes, quindi ad Alice nella città e ora in sala con Academy Two dal 9 novembre – affronta temi a lei cari, dalla fede alla manipolazione delle coscienze, con una deriva molto contemporanea, quella della religione del cibo, portata alle estreme conseguenze, psicopatologia della vita quotidiana.
Autrice di film iconici come Hotel, Lourdes e Little Joe, perfettamente inserita nella tradizione del cinema austriaco più radicale e ‘patologico’, stavolta immagina un apologo quasi fantascientifico con al centro Miss Novak (l’attrice australiana Mia Wasikowska), carismatica insegnante in un collegio esclusivo. La sua materia? La scienza dell’alimentazione nella versione di un diktat rigidissimo, ovvero ridurre al minimo l’assunzione di cibo per avere una vita più salutare e maggiore energia, assumendo un alimento alla volta. Ma cinque tra i suoi alunni – ciascuno con una personalità spiccata e famiglie poco o troppo presenti – si spingono oltre, fino a sposare la filosofia ascetica del “club zero” ovvero della non assunzione di cibo.
La preside e i genitori, dapprima poco attenti, minimizzano per poi cominciare a preoccuparsi di questo rifiuto degli alimenti che va oltre l’anoressia, ma l’escalation è ormai inarrestabile. “La prima ispirazione per Club Zero mi è venuta dalla fiaba del Pifferaio magico di Hamelin – spiega Hausner – l’uomo che rapisce i bambini di un villaggio. Ho sentito in quella favola tutta la vulnerabilità dei genitori perché perdere un figlio è la cosa peggiore che ti possa capitare. Ed è ancora peggio poi se ti senti in qualche modo responsabile”.
Hausner rivendica la sua visione studiata al millimetro. “Mi vedo come una pittrice: il set, i costumi, la fotografia per me sono fondamentali, fanno parte di uno stile artificiale. Infatti, questa storia non si colloca in un preciso momento storico o in un luogo, è una storia universale e atemporale. Anche la musica, con la forte presenza delle percussioni, grazie al contributo di Markus Binder, vuole evocare rituali voodoo e tradizioni delle religioni orientali o africane. Nei miei film precedenti avevo usato soltanto musica diegetica, in Little Joe e qui ho invece scelto una colonna sonora per la prima volta”.
I giovani sono particolarmente sensibili alle questioni dell’ecologia e della salvaguardia del pianeta, penso a una figura come quella di Greta Thunberg simbolo di una generazione che protesta contro l’inquinamento. Una battaglia sacrosanta che però può portare anche a delle estremizzazioni. Come ha lavorato su questo aspetto?
È un tema importante del nostro tempo. Mi tocca profondamente vedere quanto le giovani generazioni siano preoccupate per il futuro del nostro pianeta e per il cambiamento climatico, questo crea in loro uno stato di angoscia, di cui noi adulti siamo responsabili. Noi che deteniamo il potere oggi, non reagiamo, non facciamo nulla per salvare il mondo, restiamo passivi. Così loro diventano sempre più radicali ed estremisti, con conseguenze a volte tragiche.
Ricorre nel suo cinema – penso a un film come Lourdes – il tema dell’ambiguità della fede, che può essere estremamente potente e salvifica ma anche pericolosa.
È interessante paragonare la religione cristiana con l’ideologia del cibo: c’è un nesso, un parallelismo. Quando sono stata a Lourdes per il film che lei cita, mi sono resa conto di quanto le persone abbiano paura della morte, in particolare di morire da sole e senza poter dare un significato alla propria vita. Chi ha una malattia grave cerca il conforto della religione che promette una vita dopo la morte. È quello che Miss Novak dice ai ragazzi: non preoccupatevi, io vi salverò, se smettete di mangiare, cambieremo il mondo e potremo sopravvivere. È assurdo e paradossale, ma l’idea è la stessa della religione, il conforto alla paura.
Il digiuno, del resto, fa parte di molte pratiche spirituali e religiose. A proposito del personaggio di Miss Novak, che lei ha affidato a Mia Wasikowska, mi chiedo se sia una manipolatrice o una persona pura davvero convinta delle sue idee, insomma se sia in buona fede. Lei come la vede?
Il personaggio l’abbiamo costruito insieme, Mia ed io, facendo ricerche abbiamo incontrato persone che avevano fatto parte di una setta ed erano riusciti a fuggire, volevamo capire quale fosse la personalità dei loro leader. Abbiamo scoperto che ci sono diverse tipologie, ci sono persone che amano il potere in sé, ma altri credono davvero in quello che professano e questi sono i più pericolosi. Se sei un vero credente convincerai più persone. La questione della manipolazione è aperta: anche una persona in buona fede è un manipolatore in quanto cerca di convincere gli altri delle sue idee con tutti i mezzi.
Lei ha detto di essersi ispirata alla favola del Pifferaio magico e ad altre fiabe.
Tutti i miei film hanno una certa qualità fiabesca, perché cerco l’essenza delle storie per renderle universali. Club Zero parla dei giovani d’oggi ma è anche un film sui genitori che perdono i loro figli e che si sentono in colpa perché non sanno proteggerli, non hanno percepito la portata del pericolo. Ogni genitore sa che questa è la cosa peggiore che possa capitare. La fiaba del Pifferaio magico parla di questo, della peggiore punizione che possa capitare a un genitore.
Questi genitori sono tutti inadeguati e inconsapevoli, indipendentemente dalla condizione sociale, forse la madre di condizione più modesta è più a contatto con il figlio, ma c’è una inadeguatezza generale di questa generazione.
Non è una questione di generazione, è un problema generale, come adulto non puoi proteggere i tuoi figli da certe influenze e da certi pericoli. È sempre stato così. Gli adulti hanno sempre fallito. In psicologia si dice che non c’è modo di fare bene il mestiere del genitore. È una paura universale.
Una curiosità personale, qual è il suo rapporto col cibo?
Mangio sano, direi. A volte pratico il digiuno intermittente – si mangia per otto ore, poi si digiuna per 16 ore. Non sono vegetariana o vegana.
L’estetica del film è estremamente curata anche dal punto di vista cromatico, tanto da creare un ambiente quasi metafisico.
La costumista è mia sorella Tanja Hausner che ha fatto tutti i miei film a partire dai primi saggi studenteschi. Abbiamo idee e gusti simili, un comune senso dell’umorismo. I costumi dei miei film sono spesso colorati e audaci. Tanja legge la mia sceneggiatura e comincia a propormi delle idee, suggerisce una scala cromatica, delle uniformi, perché le divise che ci sono spesso nei miei film. Poi cominciamo a immaginare le ambientazioni, studiamo immagini e foto, ci ispiriamo a mostre d’arte e cataloghi. Finalmente andiamo anche dallo scenografo (in questo caso, Beck Rainford) e dal direttore della fotografia (Martin Gschlacht) e condividiamo con loro la nostra visione.
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