VENEZIA – In Italia uscirà l’11 febbraio con il nuovo marchio Cinecittà Luce, quest’opera “che sta già facendo discutere e che distribuiamo perché siamo convinti che affronti temi e valori importantissimi per laici e cattolici”, come spiega l’AD Luciano Sovena. Lourdes, in concorso a Venezia 66, ha infiammato il Lido con uno di quei dibattiti che danno un senso a un grande festival di cinema. Per laici e credenti, e persino per un ateo, il miracolo è un oggetto interessante e misterioso, che la regista, l’austriaca Jessica Hausner, restituisce in tutta la sua ambigua complessità, mostrando gli esseri umani per quello che sono, un groviglio di sentimenti buoni e cattivi. Tanto che “l’alzati e cammina” può essere persino accolto con invidia se è rivolto a qualcun altro e non a noi. Così ha ottenuto due premi apparentemente in contrasto, il Signis e il Premio Brian, assegnato dall’Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti.
La cittadina francese di Lourdes, luogo dell’apparizione della Madonna a Bernadette nel 1858, è meta di un ininterrotto pellegrinaggio di malati e fedeli (oltre 700 milioni di persone, secondo le stime). Nella Disneyland cattolica, come l’ha definita uno degli attori del film, le guarigioni miracolose indubbiamente ci sono state, ma la Chiesa preferisce andarci cauta. Dal 1905 (anno in cui è stato istituito un Bureau Médical, incaricato di esaminare e soppesare i casi) sono 67 quelle ufficialmente riconosciute, l’ultima risale a maggio scorso e riguarda una signora di Frosinone affetta da sclerosi multipla. Di questi miracoli si sono occupati nel tempo illustri intellettuali, tra cui lo scettico Emile Zola e il caustico Anatole France, che scrisse: “Vedo tante stampelle, ma nessuna gamba di legno tra i miracolati”.
Ha la sclerosi multipla anche la giovane protagonista di Lourdes (una Sylvie Testud da premio). Costretta sulla sedia a rotelle, incapace di muovere braccia e gambe, obbligata persino a farsi imboccare e vestire, partecipa a un pellegrinaggio nonostante la sua fede sia piuttosto tiepida. È accompagnata dai volontari dell’Ordine di Malta, tra cui un barelliere avvenente (Pierre Todeschini) e una giovane e frivola infermiera (Léa Seydoux). Coprodotto da austriaci e francesi, il film, dallo stile rigoroso e scarno, è frutto di accurate ricerche sul campo e numerosi colloqui con preti e teologi condotti dalla 36enne Hausner, già notata a Cannes per Lovely Rita e Hotel.
Cosa l’ha attratta in particolare in questo argomento così scivoloso, su cui neppure la Chiesa cattolica si pronuncia in modo definitivo?
Ho avuto un’educazione cattolica, anche se poi mi sono allontanata dalla fede. Ma conosco bene la religione e il miracolo evidenzia al massimo l’ambivalenza di questi temi. È sempre molto difficile stabilire se un miracolo sia accaduto davvero o se sia un caso, in più spesso questi fatti non sono duraturi. Ho parlato con diversi religiosi e alcuni riconoscono apertamente questa mancata chiarezza. In sostanza credo che il miracolo sia una sorta di elevazione del nostro quotidiano desiderio di felicità e mostri quanto la felicità sia transitoria e caduca.
Cosa ha provato la prima volta che ha messo piede a Lourdes?
Ero scioccata, è terribile vedere tutte quelle persone malate, spesso gravemente malate, che sperano in una guarigione. Poi ho approfondito la mia visione delle cose. Incontrare l’Ordine di Malta, che organizza pellegrinaggi al santuario, mi ha aiutato a relativizzare e capire meglio.
È stato difficile ottenere i permessi per girare nei luoghi reali, dal santuario alla grotta?
Sì, c’era molta diffidenza, anche perché l’ultimo film girato lì è Le miraculé di Jean-Pierre Mocky, una commedia degli anni ’80 che ridicolizza le cose in chiave anticlericale. Ci sono stati diversi incontri con le autorità religiose, hanno raccolto informazioni su di me e alla fine si sono convinti che la mia idea era completamente diversa.
La guarigione miracolosa esiste anche in altre culture e tradizioni. Qual è la peculiarità del miracolo cattolico?
Il cattolico vuole dare una spiegazione di questi fenomeni e li vede come segni di Dio.
Come si è preparata al ruolo Sylvie Testud?
Abbiamo incontrato diversi malati di sclerosi e ci siamo fatte raccontare molte cose sulla loro vita quotidiana, come mangiano, si lavano e si vestono. Una fisioterapista ci ha spiegato cosa significa vivere sulla sedia a rotelle in una postura che rende difficile anche parlare e respirare.
Dio o è onnipotente oppure è buono, si dice a un certo punto del film.
Il film è stato il mio percorso per rispondere a certe mie domande. E sono arrivata alla conclusione che se Dio esiste è ingiusto. E’ difficile accettare che siamo destinati a morire. Ricordo un’esperienza a Lourdes con un gruppo di malati di cancro. Abbiamo partecipato a una benedizione e loro hanno cominciato a piangere oppure a ridere convulsamente. Erano quasi cinquecento persone e sembrava una scena di isteria collettiva. Però è anche molto difficile giudicare, ognuno di noi prova cose diverse e non posso sapere come si sente un malato grave o un paralitico.
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