BERLINO – Un film di fantascienza in piena regola, ma con un retrogusto soprannaturale e allusioni alla mania degli americani per le sette pseudo-religiose: è Midnight Special, quarta pellicola di Jeff Nichols – beniamino del Sundance con un film come Take Shelter, in concorso a Cannes con Mud – e suo primo film non indipendente. Girato con un budget di 18 milioni di dollari e scene spettacolari, con esplosioni nucleari e cadute di meteoriti, ha tra le sue fonti di ispirazione dichiarate Starman di John Carpenter e soprattutto Incontri ravvicinati del terzo tipo ed E.T. di Steven Spielberg. “Già mentre scrivevo il film – ha dichiarato il 37enne regista – pensavo alla sua estetica, oltre che all’intreccio, e ho avuto ben presente la fantascienza anni ’80, i suoi colori e le sue atmosfere”.
Midnight Special inizia con la sparizione di un ragazzino di 8 anni annunciata alla tv. Tutto fa pensare che sia stato rapito ma in realtà i due uomini che lo nascondono dentro camere di motel sono suo padre (Michael Shannon, attore sempre presente nei film di Nichols) e il suo migliore amico. Alton (interpretato da Jaeden Lieberher), capta i segnali radio, parla lingue sconosciute e deve indossare tutto il tempo occhiali colorati da piscina ed evitare la luce del sole. La polizia e i federali indagano attorno alla sua scomparsa interrogando i membri di una setta che si raccoglie attorno a un carismatico leader (Sam Shepard). L’uomo ha adottato Alton e da lui aspetta una sorta di rivelazione. Tra gli agenti che danno la caccia al terzetto di fuggitivi – a cui si unirà anche la mamma del bambino Kristen Dunst – ce n’è uno un po’ più strano e sensibile (Adam Driver), l’unico in grado di venire a capo del mistero.
“Volevo raccontare una fuga sulle strade secondarie degli Stati del Sud, di notte, a fari spenti – chiarisce ancora Nichols – sono inseguiti ma allo stesso tempo sono loro a inseguire qualcosa di molto importante anche se non sappiamo cosa”. E aggiunge: “Per me Midnight Special è come una matrioska al contrario: comincia dai pezzi più piccoli e va verso quelli più grandi… Comincia come un film indipendente e diventa sempre più qualcosa di grande, tanto da non entrare nel fotogramma”.
L’altro film del concorso di questa prima giornata è il tunisino Inhebbek Hedi dell’esordiente Mohamed Ben Attia, nato a Tunisi nel 1976 con una formazione in Francia e cinque cortometraggi al suo attivo. Coprodotto dai fratelli Dardenne, del cui cinema si nota l’impronta, è il ritratto di Hedi, un venticinquenne prossimo a un matrimonio combinato da sua madre, matriarca inflessibile che gestisce la famiglia dopo la morte del marito (mentre il fratello maggiore è da tempo emigrato in Francia). Non mancano i riferimenti alle primavere arabe in questa storia di (non facile) autodeterminazione giovanile: Hedi, durante una trasferta di lavoro, conosce una donna un po’ più grande di lui e molto aperta che lavora come animatrice in un villaggio turistico e se ne innamora. Finalmente assapora la libertà e la gioia di vivere, uscendo dal grigiore della sua routine di venditore porta a porta di auto Peugeot. “Costruita come la storia di un amore a prima vista – spiega il regista – è innanzitutto una presa di posizione sulla gioventù tunisina dopo la rivoluzione. Non si vedono barricate né eroi, ma ho voluto mostrare la vita di questi ragazzi cinque anni dopo”. Colpiscono le figure femminili: la madre autoritaria e soffocante, la fidanzata passiva che non riesce a mettere in discussione lo status quo neanche nella fantasia e l’altra donna, libera mentalmente e sessualmente anche se a prezzo di uno sradicamento a tempo indeterminato che la porta a cambiare continuamente città.
Racconto lineare, eppure efficace, con tanti riferimenti alla realtà contemporanea – dalla crisi economica allo sfruttamento sul lavoro alla corruzione delle mazzette – Hedi non sfigura nel concorso berlinese, tradizionalmente attento alle cinematografie extraeuropee, anzi finora è il pezzo migliore sceso in campo. “Jean Pierre Dardenne mi ha aiutato durante la fase di scrittura – ha raccontato ai giornalisti Attia – ponendomi alcune domande. Voleva che mettessi in evidenza come Hedi, passo dopo passo, prenda le distanze dalle tradizioni della sua famiglia e rischi di trovarsi escluso dalla sua comunità”. Aggiungono i Dardenne (due volte Palma d’oro a Cannes con Rosetta e L’enfant) “Siamo stati immediatamente affascinati dalla scrittura di Hedi e abbiamo deciso di metterlo subito in produzione. I registi tunisini oggi hanno più che mai bisogno di produttori europei”. Mentre sulle scene d’amore che qualcuno ha trovato notevolmente disinibite per un film arabo è ancora il regista a intervenire: “Non è così raro nel cinema arabo trovare delle scene di sesso per quanto strano possa sembrare”.
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