CANNES – Un elogio della poesia e un viaggio nella poetica americana delle cose quotidiane, quella di William Carlos Williams e della scuola di New York, ma anche un omaggio a Paterson, la cittadina del New Jersey dove ha vissuto lo scrittore e medico (autore di un poema intitolato proprio Paterson), che ha dato i Natali ad Allen Ginsberg e dove ha trascorso parte della sua vita l’anarchico Gaetano Bresci, che fu qui operaio tessile e poi tornò in Italia e uccise il re Umberto I. Infine un film poema delicato e sottile. E si chiama proprio Paterson il protagonista del film, un autista di autobus che vive insieme all’adorata moglie Laura (come la musa del Petrarca) e l’adorabile cane Marvin, un bulldog inglese già candidato alla Palm Dog (che però si mangerà il taccuino su cui Paterson annota le sue liriche). Un film senza azione, scandito da ripetizioni attraverso i giorni della settimana: ogni giornata comincia sempre con i due sposini a letto, mentre alle sei e un quarto o giù di lì, lui si sveglia per andare al lavoro, e finisce con le sue chiacchierate serali al bar.
Jim Jarmusch scrive un cantico che ha la levità di un dipinto giapponese. “Questo film – dice il regista – racconta una storia d’amore tranquilla, senza conflitti drammatici. Rende omaggio alla poesia dei dettagli, delle variazioni e dei scambi quotidiani”. L’autore di Only Lovers left alive (che era qui a Cannes nel 2013) e che porta al festival anche il documentario su Iggy Pop Gimme Danger, scherza sulla scelta di Adam Driver nel ruolo del “driver” e ammette di aver voluto l’attrice e cantautrice iraniana Golshifteh Farahani in quello di Laura, non tanto perché sia un esperto di cinema iraniano, ma per la sua vicinanza al personaggio, con i suoi entusiasmi e la sua creatività un po’ infantile, espressa nei cuocere muffin e decorare la casa in bianco e nero o apprendere a suonare la chitarra country grazie a un corso online.
“Paterson – dice ancora il regista – è un antidoto a tutte le oscurità e alle bruttezze dei film drammatici e del cinema d’azione. E’ un film che lo spettatore dovrebbe lasciar scivolare sotto i suoi occhi, come delle immagini che si vedono dalla finestra di un bus che passa, attraverso le strade di una piccola città dimenticata”. Gli incroci, la cascata, il ponte di ferro, la stazione degli autobus.
Non manca l’omaggio al cinema in bianco e nero quando Laura invita in marito ad andare a vedere un vecchio horror, L’isola delle anime perdute del 1932 con Charles Laughton e una donna pantera. “Non sono un critico – ha spiegato il 63enne cineasta americano – ma non penso che il cinema sia fuori moda, amo andare nelle sala buia e condividere questa esperienza con il pubblico e non mi sento per questo un dinosauro. C’è tanta gente che ama la sala e penso che bisogna salvare le cineteche e permettere alla gente di vedere i vecchi film, quelli del secolo scorso… La tecnologia cambia, ma l’esperienza di base no”. E aggiunge: “Non ho una particolare predilezione per l’horror, amo tutti i generi di film, anche quelli muti, e mi piace il cinema di tutto il mondo, africani, asiatici…”.
Adam Driver, che abbiamo visto anche in Hungry Hearts di Saverio Costanzo, ha lodato lo script magnifico. “Bastava non deragliare senza aggiungere niente, senza forzare i dialoghi. Il mio personaggio è uno la cui azione principale è ascoltare gli altri e l’ambiente attorno a sé. Raramente hai questa possibilità in un film, tutti mettono l’accento sull’azione. Qui invece si ascolta molto ma non è per niente noioso”.
Per Jarmusch, vincitore del Grand Prix du Jury a Cannes con Broken Flowers nel 2005, “Adam non è un attore che analizza, ma al contrario è molto intuitivo e reattivo”. Ed è quello che serve qui, dove si parla di poesia, si fa poesia, tra l’assoluto e il nulla, girando in tondo e arrivando sempre allo stesso punto, una pagina bianca, eppure evocando nello spettatore emozioni e sentimenti profondi. Sono molti i poeti citati nel film, non solo quelli americani, ma anche gli italiani Dante e Petrarca. “Loro sono tra i più grandi poeti di tutti i tempi”, dice Jarmusch. E aggiunge: “William Carlos Williams era il cantore delle cose semplici. Ha vissuto a Paterson tutta la vita, era pediatra, è stato il medico di Allen Ginsberg da bambino. Esercitava la medicina ma ha scritto poesie straordinarie sulla vita quotidiana dove mostrava che non bisogna concentrarsi sulle idee ma sulle cose. Molti poeti avevano due professioni: Wallace Stevens era funzionario in una assicurazione, un uomo d’affari, Kafka era impiegato, Bukoswski lavorava all’ufficio postale”. Le poesie del film invece sono di Ron Padgett, alcune composte appositamente. “Purtroppo non è potuto venire a Cannes. Tra i suoi lavori c’è la traduzione dell’opera di Apollinaire, un’impresa che l’ha impegnato per anni”. E forse si deve a lui una delle frasi da annotare di Paterson: “Tradurre la poesia è come fare la doccia con l’impermeabile”. In sala dal 22 dicembre con CINEMA.
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Alla fine Valeria Golino lo dice chiaramente. "C'è stata unanimità? Quasi". E aggiunge: "Ci sono state lunghe discussioni, ma nessuna decisione è stata presa coi musi", e definisce l'esperienza appena conclusa "faticosa e memorabile". A caldo è abbastanza evidente che la giuria di George Miller ha dovuto fare un bel po' di compromessi. Due particolari rivelatori. Il doppio premio a The Salesman, il bel film di Asghar Farhadi che forse avrebbe meritato la Palma d'oro, e il premio per la regia ex aequo. I premi
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