Riga, gennaio 1991. Mentre i carrarmati sovietici invadono la Lettonia per contrastare l’indipendenza del paese, un gruppo di giovani filmmaker sperimenta il senso di coraggiosa euforia che li porta a documentare quel momento storico. Tra questi aspiranti registi c’era anche l’allora 19enne Viesturs Kairišs, il regista lettone che ha raccontato questa esperienza nel Film January, presentato in concorso alla 17ma Festa del Cinema di Roma.
“Non è un film autobiografico, – racconta il regista – ma ho vissuto quei momenti e ho conosciuto quei personaggi. Ho una memoria vivida del crollo dell’URSS. Sono molto orgoglioso di quello che abbiamo fatto, siamo stati molto coraggiosi. Prima era difficile entrare in contatto con delle cinematografie diverse, poi i confini si sono aperti e abbiamo potuto vedere i film di Antonioni, Pasolini, Fellini. Voi occidentali non riuscite a capire il senso di smarrimento che noi provavamo in quegli anni. Non potere vivere i nostri sogni e volere spezzare le nostre catene. Durante quelle rivolte, c’era una grande energia, anche sessuale. Ricordo di non essere tornato a casa per 15 giorni. Sono sempre in strada, felice di combattere per quello in cui credevo”.
Nonostante questa forte connotazione politica, il cuore del racconto è la storia d’amore tra due studenti dell’Accademia della Cultura di Riga. L’alchimia tra Jazis e Anna è istantanea, nonostante rappresentino due visioni della vita (e del cinema) completamente diverse. Lui, incarnazione di Kairišs, è schivo e introverso, ama il cinema documentaristico, i vuoti, i silenzi; gira “come Mastroianni ne La dolce vita, senza sapere dove andare”. Lei è spinta da una forza vitale e trasgressiva, dirige video musicali, caotici, pieni di danze e giochi. Questo approccio così energico convincerà il famoso regista Juris Podnieks ad assumerla come assistente, creando un’inevitabile gelosia che comprometterà il rapporto tra i due.
Il personaggio di Podnieks non è presente nel film casualmente: “Nel 1991 morirono due direttori della fotografia che lavoravano per lui. Furono uccisi dal fuoco incrociato di alcuni cecchini. Fu una tragedia per Podnieks, che morì poco dopo ad appena 42 anni, in circostanze ancora poco chiare. Io all’epoca ero impegnato, ora non faccio un cinema di quel tipo. Non sono un regista militante mi occupo di una narrazione più laterale”.
Kairišs omaggia quell’esperienza e quei cineasti con una messa in scena che fonde in continuazione il racconto diegetico a quello extra-diegetico: le immagini riprese dal protagonista con la sua super 8 si alternano alle immagini filmiche canoniche e a momenti che citano chiaramente il cinema documentaristico e di inchiesta (con un vistoso abbassamento della definizione e della pulizia registica). Il tutto senza mai cambiare formato.
Vincitore del Tribeca Film Festival e tra i favoriti anche qui a Roma, January colpisce per la sua capacità di alternare con credibilità un racconto intimo di un amore giovanile, con tutte la sua purezza e ingenuità, a un discorso meta-cinematografico e politico, in cui il regista diventa un soldato armato di cinepresa (impugnata come un fucile), capace con la sua arte di cambiare il mondo che lo circonda. Un ruolo che, come dice lo stesso Kairišs in una forte invettiva contro Putin, deve essere preservato, soprattutto di questi tempi.
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