James Ivory ha pubblicato un’autobiografia dal titolo ‘Solid Ivory’, curata da James Cameron (Corsair, Londra). Nelle imperdibili memorie di “avorio puro” l’autore californiano di Camera con vista e di altri megahit del cinema contemporaneo evoca, tra l’altro, gli avventurosi esordi come filmmaker ventiduenne a Venezia nell’inverno 1952/53.
«Le mie cene [alla pensione Calcina alle Zattere] erano piuttosto solitarie, ma le mie giornate erano piene. Se hai tutta Venezia come materia e possiedi una buona cinepresa come l’avevo io, diventi abbastanza rapidamente un cameraman e sviluppi il tuo occhio. Ero in giro tutti i giorni, con vento, pioggia, alta marea in piazza San Marco che dovevi attraversare su ponticelli sgangherati e traballanti. Ero per lo più felice, anche se solo, e inviavo bobina dopo bobina al laboratorio di Los Angeles. Contenevano immagini di quella che si potrebbe definire la Venezia eterna: i riflessi tremanti delle facciate marmoree delle chiese nei canali; le prue da battaglia delle gondole legate che oscillano su e giù; vedute della laguna al tramonto simili a un quadro di Whistler. Immagini cliché per chi conosceva la città, ma magiche se non la conoscevi, come accadeva a me. Sono stati necessari permessi per riprendere immagini del passato medievale e rinascimentale veneziano nei mosaici di San Marco e nella serie di enormi dipinti di Gentile Bellini e Vittore Carpaccio all’Accademia. Come ci sono riuscito non ricordo più».
«Il sovrintendente, un uomo nervoso con buone ragioni per esserlo, ogni giorno ci visitava per rassicurarsi. Il suo assistente tuttavia, un uomo molto meno nervoso di nome Mario Franceschini, organizzò le cose con le guardie nell’ufficio del museo accanto in modo che venissi chiamato sul set ogni volta che il sovrintendente era in arrivo. Era mezzo secolo prima dei telefoni cellulari. Quindi le lampade sarebbero state allontanate dall’immagine su cui stavamo lavorando e puntate in direzione di una superficie gelida come la pietra. Quando il capo arrivava, si avvicinava, la toccava e diceva “Va bene”.».
Nel 1955, durante il servizio militare in Germania, Ivory torna a Venezia per cercare di portare a termine Venice: Themes and Variations, un progetto incompiuto originariamente finanziato dal padre. «Non sarei più tornato a Venezia per oltre vent’anni, fino al 1986, dopo aver trascorso gran parte del mio tempo in India a girare film. In quel viaggio mi si spalancarono le stanze dietro le finestre chiuse sul Canal Grande. Stavo portando [alla Mostra di Venezia] Camera con vista, un film trionfale che avrebbe ben presto assunto un’identità praticamente italiana. Ismail [Merchant, partner del regista, NdR] affittò un palazzo dell’antica famiglia Marcello, che ne possedeva diversi, alcuni sul Canal Grande, altri no. Il nostro era in zona San Marco. Di notte giacevo in un letto rococò, in quella che ricordo era una stanza color verde pallido e oro che ricordava la famosa camera da letto veneziana di Palazzo Sagredo al Metropolitan Museum, con le finestre spalancate nelle notti estive».
Tanti gli amici e i collaboratori che James Ivory ritrae magistralmente nell’autobiografia illustrata da proprie fotografie. Da Raquel Welch a Bruce Chatwin, Ruth Prawer Jhabwala, Kenneth Clarke, Pauline Kael, Lillian Ross, Susan Sontag, Federico Fellini, Satyajit Ray. Affronta il rapporto conflittuale con Luca Guadagnino, al quale rimane grato per il premio Oscar ottenuto per la sceneggiatura di Chiamami col tuo nome (2017).
Ruocco è scrittore, giornalista, attore, documentarista, organizzatore di eventi. Dal 2012 fa parte dello staff organizzativo del Fantafestival e dal 2020 è parte del comitato editoriale di Heroes International Film Festival
Raccontare il cinema italiano attraverso le voci dei produttori. E’ l’idea che guida “Champagne e cambiali”, il volume di Domenico Monetti e Luca Pallanch, uscito in questi giorni in libreria con Minimum Fax in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia
L'autore Gianfranco Tomei insegna Psicologia Generale, Sociale e della Comunicazione presso la Sapienza di Roma. E' esperto di linguaggi audiovisivi e multimedialità e autore di romanzi, cortometraggi e documentari
Il termine ‘audiodescrizione’ non è ancora registrato nei vocabolari e nelle enciclopedie. Nell’editor di testo di un computer viene sottolineato in rosso, come un errore. Una parola che non esiste, un mare inesplorato. Di questo e di tanto altro si è parlato alla presentazione del libro di Laura Giordani e Valerio Ailo Baronti dal titolo “Audiodescrizione. Il Signore degli Anelli. La compagnia dell’AD” (edito da Hoppy) che si è tenuta ieri alla Casa del Cinema di Roma