BERLINO – Se la Berlinale si è accaparrata la biografia ufficiale di Yves Saint Laurent, sarà quasi certamente a Cannes il film rivale, quello diretto da Bertrand Bonello con Gaspar Ulliel nel ruolo del titolo, che esce in Francia il 24 maggio proprio in coincidenza con il festival. Bonello tuttavia non ha avuto l’investitura di Pierre Bergé, compagno di vita e di lavoro di Yves e suo esecutore testamentario (dopo la morte del couturier avvenuta nel 2008 per un tumore al cervello), anzi l’ha fatto infuriare moltissimo l’uso di abiti non originali. Al contrario nel film di Jalil Lespert che abbiamo appena visto qui a Berlino nella sezione Panorama e che uscirà in Italia con Lucky Red il 27 marzo, Bergé è coprotagonista a tutti gli effetti (e forse qualcosa di più, anche grazie alla straordinaria interpretazione di Guillaume Gallienne, l’attore-regista di Tutto sua madre): artefice della nascita e del successo della prestigiosa maison, voce narrante attraverso le sue lettere postume all’amato pubblicate da Gallimard.
I due si incontrano a Parigi nel 1957 ed è subito amour fou (così s’intitolava il documentario di Pierre Thoretton sulla celebre coppia). Yves ha appena 21 anni ed è già il direttore artistico della casa di mode Christian Dior, incarico che ha assunto dopo la morte del suo fondatore. Geniale e timidissimo, attraversato da una fragilità a fior di pelle ben resa dall’efebico Pierre Niney, anche lui come Gallienne della Comédie francaise, il giovane artista maudit è destinato a rivoluzionare il concetto stesso di donna, mascolinizzandola. Ma non prima di aver fondato la sua YSL col contributo decisivo di Bergé. Niente riesce a spezzare la simbiosi: né le crisi maniaco depressive di Yves né il ricorso massiccio alle droghe e neppure i tradimenti (peraltro reciproci) o la confessione che è innamorato dell’amante Jacques de Bascher de Beaumarchais (che stava anche con Karl Lagerfeld) ma che l’uomo della sua vita rimarrà sempre Pierre. Il film dà molto spazio anche al rapporto di Yves col Maghreb (era nato e cresciuto a Orano): il rifiuto di combattere nella guerra d’Algeria a costo di deludere i genitori e la Francia intera, il buen retiro di Marrakech dove i due passavano sempre più tempo. Lespert, anche attore (Risorse umane di Laurent Cantet, Pa-ra-da di Marco Pontecorvo, è al suo terzo film da regista.
È vero che i vestiti che si vedono nel film, le straordinarie collezioni Mondrian, quelle ispirate al Marocco e alla Russia, sono autentiche?
È vero. Per restituire tutto il genio di Yves Saint Laurent era importante usare le sue creazioni e l’abbiamo fatto in collaborazione con la Fondazione Pierre Bergé e Yves Saint Laurent. Sono vestiti ancora vivi.
Cosa l’ha spinta a raccontare questa biografia?
Innanzitutto mi ha colpito il carisma di Yves, insieme alla sua innocenza e vulnerabilità. Era estremamente intelligente e dedito alla sua arte. Poi mi ha commosso la storia d’amore di una vita con Pierre, ma anche la sua creatività, l’essere così avanti rispetto alla sua epoca, un vero artista d’avanguardia. Il biopic, come il polar o il western, ha codici che vanno rispettati. Bisogna far apprendere qualcosa di più alla gente su quel personaggio. Questa è una storia molto originale e allo stesso tempo molto comune. Fondamentalmente è una grande storia d amore. Sono due persone che si amano e che hanno la necessità di creare, perché Bergé accompagna Yves nella sua creazione fondando insieme a lui un’impresa enorme.
Avete usato la biografia di Laurence Benam e le lettere di Bergé. Quali sono state le altre fonti del vostro lavoro?
Il lavoro di documentazione è stato lungo e accurato. Abbiamo incontrato molte persone che hanno conosciuto Yves, per lavoro p per amicizia e spesso le due cose erano mescolate tra loro. Aveva bisogno di circondarsi di persone note e amichevoli, era di una timidezza incredibile, le sue modelle erano le sue muse e le sue compagne. Parlare con queste persone ci ha aiutato a renderlo umano e accessibile, non un mito.
Il film ha avuto uno straordinario successo in Francia ed è stato comprato in tutto il mondo. In America sarà distribuito da Weinstein. Ma pensa che all’estero lo capiranno come in Francia?
Per noi francesi l’alta moda è un simbolo e Yves Saint Laurent è il simbolo dell’alta moda, ma spero che l’interesse sarà alto anche all’estero. Io non volevo fare un film di moda o sulla moda, ma un classico.
Ha dato molto spazio alle figure femminili.
Le donne erano importantissime per Yves, a partire dalla madre. E poi ci sono le sue modelle, le sue muse che lo accompagnarono per tutta la vita. Victoire che creò la maison insieme a Yves e Pierre, Betty e Loulou che furono simboli degli anni ’60, del cambiamento, del sogno e della disillusione seguita al ‘68. Yves dipendeva dalle sue muse, come dipendeva dalla creazione e dalla droga. Era troppo sensibile, il suo era un male di vivere. Ha contribuito a rivoluzionare l’immagine della donna negli anni ’60. Aveva compreso quanto sono importanti i vestiti nella vita quotidiana e creò abiti per donne moderne in un’epoca in cui le donne erano ancora considerate cittadine di seconda classe. È stato abbastanza coraggioso da vestirle in abiti maschili usando giacche da smoking, pantaloni e cardigan.
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L'Orso d'oro e l’Orso d’argento per l’interpretazione maschile vanno al fosco noir Black coal, thin ice di Diao Yinan insieme al premio per il miglior contributo tecnico alla fotografia di Tui na di Lou Ye. Un trionfo cinese a conferma della forte presenza al mercato di questa cinematografia. Importante anche l’affermazione del cinema indipendente Usa che ha visto andare il Grand Jury Prize a Wes Anderson per il godibilissimo The Grand Budapest Hotel. Il talentuoso regista ha inviato un messaggio nel suo stile: “Qualche anno fa a Venezia ho ricevuto il leoncino, a Cannes mi hanno dato la Palme de chocolat, che tengo ancora incartata nel cellophane, finalmente un premio a grandezza naturale, sono veramente contento”. Delude il premio per la regia a Richard Linklater che avrebbe meritato di più