“Ci sono donne che cercano potere nel mondo e altre che lo cercano a letto” dice Jacqueline Kennedy, ovvero Natalie Portman nel film ‘americano’ del cileno Pablo Larrain Jackie che sembra candidarsi a un premio pesante della Mostra, se non alla Coppa Volpi per l’interpretazione.
Per la prima volta al centro del cinema del regista cileno un personaggio femminile, una First Lady rimasta tragicamente vedova a 34 anni da un giorno all’altro e fuori dalla Casa Bianca. Un biopic a sé perché è il ritratto di una donna nel corso dei tre giorni che vanno dall’assassinio a Dallas del presidente americano John Fitzgerald Kennedy ai funerali di Stato.
Chi è Jackie? Una donna elegante, intelligente, riservata, che apre la Casa Bianca ad artisti e letterati, la moglie fedele di un marito-presidente che la tradisce e con il quale non dormiva quasi mai la notte.
Stone e Landesman hanno raccontato l’assassinio del presidente Kennedy, ma nessuno ha narrato sul grande schermo quei giorni vissuti dalla donna che era al suo fianco il giorno dell’attentato a Dallas, vestita di quel tailleur rosa macchiato di sangue, portato con dignità, che nelle immagini fece il giro delle mondo.
Con lei, intervistata da un giornalista, ripercorriamo i momenti fondamentali di quei tre giorni; dall’omicidio del marito ai funerali Stato, con tutta l’attenzione concentrata su di lei. Una donna fondamentalmente sola, a parte la solidarietà e la stima di pochi assistenti, schiacciata dalla macchina presidenziale e dalla potente famiglia Kennedy. Lyndon B. Johnson e il suo staff scalpitano per prendere il posto di JFK, come prevede la Costituzione; il fratello Bob Kennedy insiste per fare un funerale senza clamore, quasi in sordina.
Jackie sceglie un imponente funerale di Stato dell’uomo che ha amato e che ha segnato una svolta per gli USA con la sua politica democratica e liberal. Sfila da sola, elegantemente vestita di nero, a fianco del feretro portato da un carro trascinato dai cavalli. Anche al presidente Abramo Lincoln, assassinato nel 1865, venne riservata una cerimonia analoga e ad essa Jackie s’ispira, sfidando l’oblio e costruendo l’immagine e la leggenda di un uomo importante. E nel farlo, lei stessa diventa un’icona.
Il film nasce dall’incontro e dall’invito ricevuto dal regista Darren Aronofsky, tra i produttori del film, che era nella giuria del Festival di Berlino. “Benché non sia americano e dunque non tanto legato a questa storia, l’ho vissuta come una grande opportunità di una storia fantastica”. Larrain è partito dal rapporto della commissione Warren che descrive in modo dettagliato come morì JFK e lei seduta accanto.
“Avevamo tante informazioni ma ci sono cose che accadono dietro le porte. C’era una Jackie misteriosa, sconosciuta tra i personaggi conosciuti. La sfida – dice il regista – era utilizzare il cinema per arrivare a lei, un mix di mistero ed emozione”. Alla fine emerge un personaggio con vari strati di personalità. “Il film si compone di frammenti di memoria che non sono montati cronologicamente, una struttura emozionale per entrare nel suo mondo”.
Fonte d’ispirazione per il regista, tra tante biografie, è stato un libro di conversazioni di Arthur Schlesinger che contiene un cd. “I biopic corrono dei rischi quando si vuole l’interprete il più possibile fedele all’originale. Il film non sta in piedi solo sulla somiglianza, non è sufficiente imitare, ma occorre creare un’illusione, qualcosa che affascini e da condividere. Non è una questione di trucco e parrucco, ci sono somiglianze più sottili”.
Larrain ricorda che la madre, 14enne, quando seppe dell’omicidio di Kennedy, andò da sua madre e l’avvisò di quanto accaduto aggiungendo che ‘la regina sembrava così triste’ e la risposta fu ‘Ma non è regina’. “Ho voluto creare l’illusione del sangue reale, Jackie ha unito la nazione, lei aveva una somiglianza regale, sembrava una regina senza trono” .
La Portman confessa che questo personaggio più che impegnativo le è sembrato pericoloso. “Non avevo mai interpretato una donna realmente esistita, il rischio e il timore sono quelli del confronto con l’originale.Non mi considero un’imitatrice, ho fatto del mio meglio perché la gente immaginasse Jackie. Come personaggio pubblico era in un modo, nel privato un altro: forte e vulnerabile, fragile e determinata, fredda e timida”.
Come la Portman ha affrontato il personaggio? “Ho pensato ai sentimenti che provava simultaneamente questa giovane donna, madre e moglie tradita, che vive una crisi profonda, che si chiede come possa andare avanti”. Il regista ricorda il primo giorno di riprese quando ha chiesto alla protagonista di avvicinarsi sempre più alla macchina da presa ferma. “Il film era lei, volevo qualcosa di vicino, intimo per sentire quello che Jackie ha passato. Ho catturato un’umanità in pericolo”.
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