Ivan Polidoro


G. Imparato, G. Ferreri, M. Esposito“Al cinema si dovrebbe andare solo per sognare, per cercare un po’ di poesia, quel minimo che spero di aver messo nel film”. E’ un ottimista, un sognatore Ivan Polidoro. Artista partenopeo con un robusto passato teatrale alle spalle, autore di un corto (Rapina) che gli è valso 2 Nastri d’argento (uno per la sceneggiatura e l’altro al miglior attore, Gianni Ferreri) e il premio Cittadella, si cimenta ora nella regia del lungometraggio Basta un niente. Prodotto da Francesco Montini per Movie Factory e Rai Cinema la pellicola è la realizzazione di un progetto artistico che dalla pièce teatrale è diventata un film passando per il formato del cortometraggio. Basta un niente racconta le vicende di tre amici Ivo (Gianfelice Imparato), Rosario (Gianni Ferreri) e Peppe (Mimmo Esposito) che vivono nel Golfo di Napoli. Un po’ per sbarcare il lunario, un po’ per velleità artistiche, i 3 passano i giorni suonando nei locali e conducendo esistenze mediocri fino a quando la notizia della morte di Palo ‘e Fierro (Filippo Calace), noto mafioso locale, scuote il paesino e le loro vite. ‘e Fierro si è finto morto per poter scappare con il bottino del suo ultimo colpo. E mentre il boss locale (David Coco) è occupato a recuperare la sua fetta della torta, ai tre protagonisti viene in mente di compiere una rapina. Con il campo libero pensano di poter colpire facilmente la gioielleria Armato, purtroppo la stessa a cui ‘è Fierro ha messo gli occhi addosso.

Lei ha recitato con grossi nomi come Ronconi e De Filippo. La decisione di diventare regista le è venuta per prendersi una pausa dal teatro o è sempre stata una sua aspirazione?
Voglio dirigere da sempre. Ma non ho avuto le idee chiare fino ai 18-20 anni. Non mi sapevo decidere tra cinema e teatro tant’è che finita la scuola mi accettarono sia all’Accademia Silvio D’Amico che al Centro Sperimentale e per un po’ le frequentai entrambe. Poi mi scoprirono e ho dovuto decidere. Recitare mi piaceva da morire e andai alla D’Amico. Anche perché il vero attore per me viene dal palcoscenico.

Che tipo di cinema le piace?

Adoro i film di Paul Thomas Anderson e David Mamet che non sbancano ai botteghini ma hanno comunque un pubblico non di soli appassionati.

Com’è stato girare il film?
Sono soddisfatto. Anzitutto la produzione ci è stata molto dietro e ha cercato da subito di accelerare i tempi per portare il film al Festival di Torino del 2006. In più un cast e una troupe formati quasi interamente da amici ha facilitato le cose. In 5 settimane di riprese ci siamo uniti ancora di più e abbiamo cercato di fondere insieme anche i due schieramenti: quello dello zoccolo duro napoletano formato da me, Imparato, Esposito e Ferreri e quello misto a cui appartengono la , Di Francesco e altri. A farne le spese è stata soprattutto la segretaria di edizione che ogni volta si disperava per il minutaggio. I napoletani erano sempre indietro e le saltavano tutti gli standard basati sui tempiL. Indovina degli altri attori.

Si è ispirato a qualcuno?
Mi piace molto la commedia francese e adoro tutti i maestri italiani del genere Scarpelli, Scola, Monicelli. Ma cerco di realizzare qualcosa di più moderno. La storia che racconto ha forti connotazioni napoletane che però vengono mescolate con altri elementi. Non dobbiamo rimanere schiacciati tra il filone demenziale dei film panettone e quello dei melodrammoni. C’è una terza opzione: fare film che inseguano la vena comica d’un tempo.

E che ne pensa un esordiente della crisi del cinema italiano?
Francamente non lo so. Ne parlo spesso con i miei amici, gente di teatro, attori, registi e nessuno riesce a capire quale sia la causa vera. Di certo per fare un buon film devi avere una buona storia. La sceneggiatura è fondamentale. Ma anche gli attori non sono da meno. Quindi che problema c’è? Di sicuro abbiamo perso qualcosa. Penso alla Grande Guerra, a C’eravamo tanto amati. Povertà, guerra, amicizie che s’incrinavano temi validi anche oggi, ma allora era diverso il modo di raccontare. Ecco è la leggerezza nel descrivere le cose quel che abbiamo perso. Raccontare una storia d’amore o un fatto divertente senza avere paura di farlo davvero senza dover ricascare sempre nell’intimismo, nel dramma fine a se stesso… Per fare la differenza, a volte, basta un niente.

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04 Agosto 2005

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