Tutte le scelte sono ammissibili e nessuno può decretare quale sia la più validante. Siamo noi a dire basta e il modo in cui vogliamo che cessi. Dal 21 agosto al cinema, It ends with us – Siamo noi a dire basta, il dramma sentimentale diretto da Justin Baldoni e scritto da Christy Hall, tratto dal romanzo omonimo di Colleen Hoover, il bestseller più venduto e discusso del 2022 inserito nella classifica dei bestseller del New York Times per oltre 90 settimane.
Lily Bloom (Blake Lively) decide di intraprendere una nuova vita a Boston per inseguire il sogno di una vita: aprire un negozio di fiori. La sua vita inizia a prendere una piega sempre più positiva, soprattutto quando incontra casualmente sul tetto di un palazzo l’affascinante neurochirurgo Ryle Kincaid (Justin Baldoni) che darà l’opportunità a Lily di aprire di nuovo il suo cuore a un altro uomo. Quando il legame tra i due inizia a diventare sempre più intenso, la narrazione comincia a stagliarsi su due archi temporali diversi: quello del presente in una storia passionale e quello di un passato violento lenito solamente dalla dolcezza di un amore adolescenziale -e travagliato- con il giovane senzatetto Atlas Corrigan (Brandon Sklenar). La sua relazione con Ryle, seppur condizionata da un profondo innamoramento, inizia a prendere sempre più le sembianze di una storia già vista: quella che racconta il dramma della violenza domestica, di una Lily impotente che guarda sua madre mentre viene picchiata dal marito. Dopo anni passati a cercare di diventare la cosa più distante da sua madre, colpevole per la figlia di accettare gli abusi del marito, e di difenderlo nonostante tutto, Lily scoprirà l’amara sensazione di avere in comune con lei molto più di quanto non riesca ad accettare.
Ryle sembra incarnare la perfezione dell’uomo più desiderabile a cui si possa ambire: un bello da soap opera, colto, benestante, romantico e passionale oltre ogni ragione. È così che inizia questa intensa storia d’amore accelerata da pura seduzione. Siamo con Lily, assistiamo al suo innamoramento e prendiamo parte, insieme a lei, di quel magnifico sentire fatto di una passione talmente forte da appannare e confondere la percezione dello spettatore, anche lui completamente assopito. È un punto di rottura a far trasalire lo spettatore dalla dolcezza in cui è cullato: un incidente, o almeno è quello che sembra, tra marito e moglie nella cucina del loro lussuoso appartamento. Si tratta di un preludio che tratteggia questa storia di oscurità, uno strappo della bolla di perfezione in cui abbiamo collocato i due. Quelli che sembrano “incidenti”: come un pugno ricevuto per “sbaglio”, e una caduta dalle scale “errore” finiscono solamente per instillare il dubbio in chi guarda, ma rasserenato, subito dopo, dalla stessa Lily che ne minimizza le intenzioni. Prima Lily, e poi noi, osserviamo i momenti più tesi della coppia e, come vuole Lily, li inscatoliamo in un cassetto con su scritto “incidente” anche se ogni sguardo e mossa di lui diventa sia per noi che per la donna un continuo punto interrogativo: in qualsiasi momento tutto potrebbe tramutarsi nell’inferno.
L’incontro con il primo amore di Lily, Atlas, assume un ruolo chiave nella narrazione, nella presa di coscienza da parte della donna e, anche in questo caso, dello spettatore in sala. È infatti il ragazzo, a far riemergere in Lily i tragici ricordi di un passato fatto di un indigestione di abusi vissuti e osservati sia della donna che dell’uomo, quando Atlas, stanco degli uomini violenti a cui si accompagnava la madre, decise di scappare di casa e vivere da senzatetto. Proprio in questo gran bisogno di rifugiarsi in qualcosa privo di amarezza, i due giovani trovarono conforto, quando, entrambe le famiglie non potevano offrire altro che violenza. Sarà poi l’ultimo atto violento, lo stupro da parte di Ryle, ormai diventato suo marito, a dare a Lily il coraggio per affrontare una separazione più che voluta necessaria. Necessaria per chi? Non solo per lei, ma anche per la sua bambina ancora in grembo. Non è dunque un caso che la nascitura sia proprio femmina, è di questo genere biologico che si serve l’autrice per erigere a simbolo della fine di una genealogia costretta nella morsa della violenza. La bambina diventa quindi l’elemento di interruzione alla furia della violenza maschile: “finisce qui con te e me, siamo noi a dire basta” dice Lily alla sua bambina che non rivivrà le stesse sorti della madre e della nonna. È così che Lily, solamente dopo aver attraversato lo stesso inferno della madre, riesce a finalmente a spogliarsi del ruolo di giudicante. Nel film dunque, nemmeno la gravidanza diventa motivo ostativo alla fine della relazione, anzi, ne diventa elemento cruciale per far sì che avvenga.
La bambina che sta per mettere al mondo non verrà riassegnato lo stesso destino, una bambina che non odierà sua madre per non essere riuscita a dire di no. Allo stesso tempo però, It ends with us insegna come non ci si possa mettere in una posizione giudicante nelle storie di violenza che riguardano altri. Per quanto Lily riconosca per prima di vivere la stessa storia della madre che tanto ha rifiutato, continua nel suo tentativo, finché può, di salvare la storia d’amore con Ryle, proprio come fece la sua di madre. È stata lei a scegliere il limite di tolleranza, fin dove accettare e in che modo mettere fine. Non esistono regole per quantificare la gravità di una violenza e validarla come tale. È dunque il rispetto nei confronti delle donne che vivono abusi a contraddistinguere It ends with us: non giudicarle, non recriminarle per non aver avuto il coraggio di denunciare, per aver sopportato, oppure per aver messo fine, nel modo in cui desiderano.
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